Cracovia, Wieliczka, Auschwitz: alla gioventù, al lavoro, alla morte (2/3)
27 febbraio 2016
Giorno 2: Wieliczka la lavoratrice, Cracovia la sacra
In via Florianska, poco dopo le 9 di mattina, il contrasto con il giorno prima è allucinante. Non è che le temperature siano aumentate, magari! Io mi sono dovuto rimettere i guanti e il cappello come a Vienna! No, la differenza sta nel fatto che la piazza del mercato, Rynek Główny, così piena di vita fino a qualche ora prima, adesso è deserta. Si possono vedere nitidamente i sanpietrini, lisci come piastrelle, calpestati da qualche raro passante. Si distinguono altrettanto nitidamente, nonostante un velo di garza nel cielo azzurro, i campanili e i mattoni della cattedrale, a destra, e la porta di San Floriano, a sinistra.
Con il solito quarto d'ora accademico di attesa dei ritardatari, ci dirigiamo verso la miniera di Wieliczka, a dieci chilometri a sud-est di Cracovia. Quando ho chiesto a Dorota, la polacca, che minerale si estraesse da questa miniera, ecco cosa è successo a causa del nostro inglese. "È una salt mine", mi risponde. "Non ho capito", dico io. "Una salt mine. C'è lo zucchero e poi... il salt, capisci? ". "Lo zucchero e poi cosa? ", borbotto. Forse il ghiaccio? "Non hai capito, vero? " "No, salt mine, lo zucchero e qualcos'altro... Ah! È una miniera di sale! " "Esatto, è una miniera di sale! ".
In italiano, il termine preciso per descrivere il sale della miniera di Wieliczka è salgemma, cioè un minerale che crea dei sedimenti. Questi depositi risalgono a 13 milioni di anni fa, quando il mare si ritirò dalle terre polacche.
Il mare quindi ormai non c'è più, ma a Wieliczka sembra di essere in uno stabilimento balneario molto turistico. Lungo la strada, una fila di casette di legno in cui si vendono souvenir vi accoglie a braccia aperte. All'ingresso, un grande parcheggio di terra battuta implora di essere riempito di autobus carichi di turisti. In effetti, stamattina è semivuoto. Ma, nonostante la bassa stagione, la globalizzazione della miniera di sale è lampante. Un display luminoso rosso annuncia, come se fossimo in un aeroporto: "English tour 10:00, Visite en français 10:15, Deutsch Besuch 10:30, English tour 11:00". Non sono neanche indicate le ore delle visite in polacco!
La nostra guida all'inizio della visita, nella sala Bono, a 64 metri sotto il livello del suolo.
Dopo essere entrati nella sala d'ingresso piena di gente, la nostra guida apre una pesante porta secondaria di legno, dietro la scala... ed ecco laggiù la miniera! Per lunghi minuti scendiamo all'interno di questa gabbia chiusa dalla scala, tutta in legno di pino. Alla fine di ogni rampa sterziamo e giriamo, prima da una parte, poi dall'altra... Diversamente dalla miniera di carbone di Lewarde che ho visitato nel nord della Francia, la discesa non è mica uno scherzo! Inizio ad avere il capogiro. Cerco di contare gli scalini, di capire a quale profondità ci troviamo per capire quando saremo a 64 metri sotto terra, punto in cui inizieremo la visita, ma non ci riesco.
Mi sorprendo quando arriviamo alla sala Bono, la prima (ce ne sono 2 000! ), al primo livello (ce ne sono 9) della miniera di sale. La nostra guida, in piedi vicino a un portico fatto di mattoni troppo perfetti color cioccolato al latte, con la sua uniforme nera impreziosita da bottoni dorati, sembra il capitano di una nave. Se la perdiamo, la miniera ci travolgerà!
Una volta superati i passaggi ricoperti di legno, siamo entrati direttamente in una delle gallerie scavate nella roccia. Dalle mie cuffiette, che amplificano il filo di voce velato della guida, sento dire: "Durante questa visita percorreremo 3 dei 300 chilometri dei tunnel sotterranei della miniera". Il che equivale a dire: "Visiteremo l'1% della miniera di Wieliczka". Guardo preoccupato la spia di quell'aggeggio passare da verde a rossa e, improvvisamente, non sento più niente. Sono troppo lontano dalla guida. La paura di perdersi, di restare qui fra le statue di sale grigiastre inizia a crescere dentro di me.
Questo cloruro di sodio sembra più marmo grigio che sale, da quanto è scuro. Pensando che forse è tutta una truffa, mi inumidisco il dito, lo passo sulla roccia e me lo metto in bocca. È davvero sale! Passiamo da una sala all'altra. Ci sono una quindicina di gradi, niente male come temperatura. Mi tolgo il cappello che mi sono messo in testa stamattina.
Wieliczka: la torre Eiffel della Polonia
Serie di scene bibliche scolpite nel salgemma, nella cappella di Santa Kinga.
Dichiarata Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'Unesco nel 1978, questa miniera è uno dei fiori all'occhiello della Polonia. È un po' come se fosse la loro torre Eiffel, che in effetti starebbe perfettamente al suo interno (dato che misura 327 metri di profondità). Un milione di turisti la visitano ogni anno. Capisco meglio perché quando arriviamo alla cappella di Santa Kinga, più che una semplice cappella, una vera e propria cattedrale di sale tanto è grande! La serie di sculture di scene bibliche, la statua del papa Giovanni Paolo II, i lampadari di cristallo, i porticati, le piastrelle del pavimento... tutto, ripeto, tutto è fatto di sale!
Resto senza parole di fronte a questo spettacolo, a 90 metri di profondità, pazzesco come la leggenda di Santa Kinga. La guida ci racconta: "Un giorno la principessa Kinga (anche chiamata Cunegonda) partì per la Polonia per sposarsi con un principe di Cracovia. Ma le cadde l'anello di fidanzamento in una miniera di sale in Romania che le era stata donata da suo padre. A Wieliczka, tutto il corteo si fermò: non avevano più acqua. Kinga ordinò di scavare un pozzo. Verso il fondo, un uomo trovò un blocco duro di sale. Lo riportò su e, rompendolo, apparve l'anello di fidanzamento della principessa. E questo è tutto", ci dice sorridendo, "vi è piaciuta questa storia? ".
Poi appaiono le classiche trappole per turisti: una sala ricevimenti, un ristorante e dei negozi di souvenir... Dato l'aumento dei turisti, la miniera non produce più sale in quantità industriale dal 1966. La fine di una vita mineraria che era iniziata nel XIII secolo. Ovviamente, qualche barattolino di sale viene ancora estratto per i visitatori!
Dopo due ore senza vedere la luce del sole, sto per impazzire. Le sale e le cappelle scorrono una dopo l'altra. Nella camera di Michalowice, non mi stupisco neanche più dell'altezza dei suoi soffitti (35 metri), per cui sono stati necessari vent'anni di lavori di sgombero.
Nel museo delle saline scendiamo a 135 metri. "Torniamo nel mondo", come direbbero i minatori. La guida ci porta verso l'ascensore, che indica la profondità come se fossero i piani di un palazzo. - 135, - 90, - 30, 0... in due minuti risaliamo tutti i metri che abbiamo percorso in tre ore. Eccoci di nuovo fuori, nel centro del paese di Wieliczka, lontani dal nostro punto di partenza, il pozzo Daniłowicz. Per riprendere il nostro minibus, passiamo per viale Giovanni Paolo II. Sì, ancora lui. Eh sì, era polacco, originario proprio di Wadowice, a 50 km da Cracovia. Ecco un altro motivo d'orgoglio dei polacchi.
Miracolo del piatto e del crocifisso
Per pranzo, di nuovo a Cracovia, Dorota ed io decidiamo di andare in un ristorante tradizionale. Insieme alle due ragazze che ci accompagnano, sbircio il menù di qualche ristorante della piazza principale. "No, lì è troppo caro", delibera Dorota.
Ci spostiamo in una strada secondaria. Dorota scova una trattoria chiamata Polskie Smaki. Legge velocemente il menù e afferma: "Questo mi ispira, ci sono piatti tipici e non costa molto! ". Sulla tovaglia a quadratini rossi, mi gusto un "bortsch", una zuppa di barbabietola. Non essendo sicuro della sua origine, chiedo: "È russo il "bortsch", vero? ". Ma la polacca mi assicura: "È polacco! ", mentre la ceca ribatte: "È ceco! ". Diciamo che è originario dei paesi slavi. Il "bigos", un piatto a base di carne, crauti e spezie, mi riempie la pancia e delizia le mie papille gustative. Non per niente, quel "piattone enorme", come lo descrive Dorota, mi è rimasto sullo stomaco fino in Slovacchia.
L’interno della basilica di Santa Maria, con la sua volta piena di stelle e le sue decorazioni opulente, tipiche del gotico francese.
Non mi pento di non essermi unito alle ragazze, partite per fare shopping, per visitare la basilica di Santa Maria, situata proprio nella piazza del mercato. Entro dentro. Che dire... è una delle chiese più belle che abbia mai visto. La metto allo stesso livello di quella di Albi, di Le Puy-en-Velay o la chiesa dei Gesuiti di Vienna, che ho visitato il mese scorso.
Il sole del tardo pomeriggio passa attraverso le vetrate, facendo brillare il rosso dei muri, l'oro dell'arredamento e il blu della volta. Le colonne e le volte ad ogiva sono così slanciate che sembrano arrivare fino al cielo. Un crocifisso gigantesco chiude il coro. Ai piedi di Gesù Cristo s'inginocchiano, uno dopo l'altro, i fedeli, in modo dinamico, come se fosse un balletto divino. Percorro la navata sinistra, l'unica accessibile ai visitatori, per apprezzarne ogni dettaglio, soprattutto la pala d'altare. "Signore", mi chiama un guardiano vestito di nero, "il cappello! ". Me lo tolgo. Prima di andare via, voglio fare un'ultima foto. "Signore", mi urla un altro, "è vietato fare foto". Oltre ad essere magnifico, questo luogo è ancora avvolto da un'aura di sacralità. Questa cattedrale vive di vita propria.
Il castello del Wawel, la tana del feroce drago
Il castello del Wawel, simbolo del momento in cui Cracovia fu capitale del Regno di Polonia, fino al 1596.
Ho appena il tempo di raggiungere la grande piazza su cui si erge il castello del Wawel, dove si sono radunati tutti quelli che vogliono visitarlo. In effetti, sono piuttosto in anticipo. Chiacchiero con i responsabili che sono già lì, saltellando per il freddo dato che il sole ormai è tramontato.
La visita non dura molto. Passiamo nel cortile circondato da porticati in stile Rinascimento. La cattedrale gotica, che è anche il pantheon di tutti i re e le personalità più importanti della Polonia, è chiusa. Piccola delusione.
Con quattro ragazze francesi (le due già presenti nel gruppo ne hanno trovate altre due! ), partiamo verso le mura della città, che danno sulla Vistola. Sono solo le cinque, ma è già quasi buio. Una delle due francesi di Cracovia ci indica l'ingresso di una grande grotta situata alle pendici della collina, chiamata tana del drago, "smocza jama" in polacco, e, giustamente, lì di fronte si erge la statua di un drago. E aggiunge: "Teoricamente, fra qualche minuto, dovrebbe sputare fuoco! ". In effetti, sputa qualche fiamma a intermittenza, nella cupa luce della sera. "Lo fa ogni dieci minuti".
"Perché un drago? ", chiede Élodie. L'altra ragazza francese le spiega: "C'è una leggenda che racconta che un tempo un drago terrorizzava gli abitanti della città. Stuprava perfino le ragazze. Il re dell'epoca promise che chi l'avrebbe ucciso avrebbe avuto la mano di sua figlia. Fu un calzolaio a catturare il drago, mettendo la pelle di una pecora piena di zolfo nella sua tana. Il drago la divorò senza battere ciglio. Il suo stomaco si infiammò. Allora bevve la metà dell'acqua della Vistola e per questo esplose. Il calzolaio ottenne, come promesso, la mano della figlia del re".
Uscendo, la grata di legno dell'unico cancello, per sbaglio, si chiude davanti ai visitatori, cioè noi. Gli addetti alla sicurezza devono venire ad aprirci la porta. Senza ulteriori difficoltà, riusciamo a tornare in via Florianska e andiamo a berci un caffè tra francesi (più una tedesca! ).
Verso le 19:00, dopo aver chiesto molte volte ai passanti, riesco finalmente a trovare un ufficio postale in un centro commerciale, per scrivere le mie cartoline. Alle 20:30, assopito prima ancora che i miei compagni escano a far festa, mi addormento e non mi sveglio fino al giorno dopo.
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