week end a Uluwatu
Dopo aver trascorso la prima settimana a Bali, passati gli effetti del jetlag, io e Maria decidemmo di trascorrere il primo weekend a Uluwatu, a circa un'ora di distanza dal nostro alloggio a Kerobokan.
Pochi giorni prima avevo noleggiato il mio fedelissimo motorino e, nonostante il timore iniziale nel cimentarmi nel famigerato traffico balinese, questo aveva presto lasciato spazio all'adrenalina, che è una sensazione che non mi dispiace affatto.
Infatti, a differenza di quasi tutte le persone che ho conosciuto durante la mia permanenza a Bali, guidare nel traffico è sempre stato per me divertentissimo, una sfida continua, tant'è che ogni volta che qualuncuno aveva bisogno di un passaggio ero la prima a proporsi.
Così partimmo il sabato mattina di buon'ora, in sella ai nostri motorini.
Per raggiungere Uluwatu ed in particolare tutte le spiagge che facevano parte della lista che avevamo stilato durante la settimana, era necessario attraversare Kuta, la zona più caotica, rumorosa e trafficata di tutta l'isola. Dal momento che la mia guida non è esattamente prudente e dato che facevo strada a Maria utilizzando le mappe del cellulare, ci perdemmo di vista almeno dieci volte e giungemmo alla nostra prima tappa in poco meno di due ore.
Bingin Beach
Stanche ed accaldate parcheggiammo i nostri scooter e, dall'alto, scorgemmo Bingin Beach, paradiso dei surfisti ma anche di chiunque apprezzi le acque calde e cristalline. Purtroppo per noi, per arrivare alla spiaggia era necessario scendere alcune centinaia di gradini sotto un sole cocente, e noi eravamo già provate dal viaggio e per giunta ci eravamo dimenticate la crema solare. Comuqnue, una volta poggiati i piedi sulla sabbia lo spettacolo che ci si presentò davanti ci ripagò della fatica, e anche della futura ustione.
L'acqua era calma e piuttosto calda, la spiaggia non era affatto affollata (a differenza di quelle di Kuta, Seminyak o Canggu), e c'era un piccolo bar dove bere qualcosa di rinfrescante. Insomma era il luogo ideale per rilassarsi, se non fosse stato che avevamo un programma veramente serrato.
Nyang Nyang
Dopo poco più di un'ora a Bingin Beach riprendemmo i motorini e guidammo verso Nyang Nyang, una spiaggia poco conosciuta ma che, almeno a giudicare dalle foto, pareva che valesse la pena vedere. Una volta arrivate capimmo, sconfortate, perchè non fosse conosciuta. Se la scalinata di Bingin ci aveva sfiancate, Nyang Nyang ci distrusse. Per giunta, in questo caso non c'era alcuna scalinata, ma solo terreno polveroso, dove in certi punti gli alberi bassi si facevano meno fitti e offrivano una vista mozzafiato sulla spiaggia sottostante. Quando arrivammo a destinazione notammo con gioia che c'era una venditrice di noci di cocco. Infatti ci eravamo completamente dimenticate di portare qualcosa da bere (oltre che da mangiare), e in quella situazione ce ne era davvero bisogno. Immaginammo gli sforzi di quella povera signora che ogni giorno discendeva lungo quel sentiero ripidissimo trasportando noci di cocco e ne comprammo tre, senza neanche contrattare. Stendemmo i nostri teli e ci mettemo a sorseggiare l'acqua di cocco, dissetante e resa un po' asprigna dal succo di limone. Davanti a noi, una spiggia immensa, completamente deserta, e l'acqua più bella che avessi mai visto.
Non riuscendo a trattenerci dal suo richiamo, lasciammo le nostre noci di cocco e ci fiondammo in mare, mentre tutta la fatica sembrava svanita di colpo. Purtroppo, nel frattempo un gruppo di scimmie ci derubò dei nostri cocchi.
Padang Padang
Dopo Nyang Nyang raggiungemmo un'altra volontaria, Jaquie, nella spiaggia di Padang Padang, più famosa ed affollata. Dopo alcune ore di chiacchiere e relax lasciammo la spiaggia per dirigerci verso l'ultima tappa della giornata ma fummo trattenute da un branco di scimmie che ci portò via incurante tutta la frutta che avevmo comparto nel frattempo.
Si era ormai fatto tardi e per il tramonto decidemmo di andare al tempio di Uluwatu, che è il luogo ideale per godersi le ultime ore di luce. Dopo cena invece tornammo a Padang Padang, dove si svolse il concerto di una band balinese apparentemente molto famosa, ma di cui non ricordo il nome. Tutta la situazione era molto divertente: il cantante sembrava un tipo simpatico ed era senza dubbio felicissimo di trovarsi su quel palco, circondato da turisti europei, americani ed australiani mentre le onde del mare si infrangevano a pochi metri di distanza. Cantava in un inglese esilarante, ad aveva un sorriso che rendeva felice.
Melasti Beach e Green Bowl Beach
Dormimmo in un ostello poco lontanno ed il mattino seguente, salutata Jaquie, io e Maria guidammo verso Melasti Beach, che si raggiunge attraverso una strada panoramica famosa per essere il set di servizi fotografici per i matrimoni. Anche questa è una spiaggia poco conosciuta, soprattutto non dai turisti. Al contrario, è una delle spiagge dove si trovano più indonesiani. L'acqua è caldissima e rimane bassa per centinaia di metri: tra le rocce si formano delle piccole piscinette naturali, dove sguazzano bambini balinesi. Mangiammo un bel piatto di riso e tonno fresco nell'unico bar presente sul posto e poi ci spostammo verso Green Bowl Beach, a pochi chilometri di distanza.
Ancora una volta dovemmo scendere circa trecento scalini ripidissimi, ma alla fine facemmo un pisolino sulla spiaggia di almeno due ore, cullate dal rumore delle onde. La situazione sarebbe stata ideale se non fosse stato che il sole picchiava con forza e ci bruciò completamente spalle e schiena, al punto che trasportare il mio zaino fu un'enorme sofferenza.
La sera, ustionate dal sole ma rinvigorite dal riposo e soddisfatte di essere riuscite a seguire alla perfezione il nostro piano, tornammo verso casa.
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