Verso il parco nazionale di Komodo
Il viaggio per raggiungere Komodo fu a dir poco travagliato.
Innanzitutto, il tour vero e proprio sarebbe partito da Labuon Bajo la mattina del venerdì, mentre con il mio aereo sarei arrivata nel pomeriggio. Di conseguenza, Anjanitrip aveva pianificato un servizio di pick up dall’aeroporto ed un trasferimento dal porto di Labuan Bajo all’isola dove, a quel punto, si sarebbe dovuta trovare la barca con gli altri partecipanti al tour.
Sfortunatamente il viaggio partì subito male.
Sul tabellone delle partenze, accanto a Labuan Bajo lessi “due ore di ritardo”. Informai subito anjanitrip del problema e mi fecero capire che questo ritardo avrebbe potuto costituire un problema. Infatti, di norma, le imbarcazioni non viaggiano nel parco di Komodo dopo il tramonto.
Arrivai a Labuan Bajo poco prima delle sette di sera: buio pesto. Chiamai la ragazza di Anjanitrip e mi assicurò che avrebbe trovato il modo di risolvere la situazione senza farmi rinunciare al tour, che per giunta avevo già pagato.
Il driver mi condusse al porto e mi indicò un’imbarcazione, da cui un uomo e tre ragazzini mi fecero cenno di salire. Nessuno di loro, ovviamente, parlava una parola di inglese. Non avevo idea di cosa fare, quindi chiamai nuovamente Anjanitrip, che mi confermò di dover salire su quella barchetta con quello strano equipaggio. L’uomo adulto mi chiese di pagare immediatamente e, dal momento che era buio e che mi stavano letteralmente facendo un favore, avrei dovuto sborzare altre 200.000 rupie. Intascò le banconote, mi aiutò a salire sulla barchetta e, nel mio sgomento, scese lasciandomi con i tre ragazzini, al buio, in un luogo del tutto sconosciuto, senza sapere dove stessi andando.
In realtà, nonostante l’assurdità innegabile della situazione, non ero affatto spaventata. Dopo due mesi avevo imparato a fidarmi quasi ciecamente degli indonesiani, che non hanno mai cattive intenzioni, e che sono sempre disposti a dare una mano, soprattutto se aiutati dal denaro. Devo dire però che in quel caso, seppure non fossi spaventata, ero decisamente dubbiosa; e lo divenni sempre di più mano a mano che il viaggio andava avanti e che vedevo che non stavamo arrivando da nessuna parte. Per giunta, pochi minuti dopo la partenza dal porto, l’unica luce della barca smise di funzionare e mi ritrovai completamente al buio insieme a tre ragazzini su una barchetta di legno. Tutt’intorno il paesaggio era nero ma riuscivo a scorgere le sagome delle isole che compongono l’arcipelago della sonda, di cui fa parte il parco nazionale di Komodo. Fortunatamente (si fa per dire), uno dei tre ragazzini aveva un cellulare con una torcia, che usò per illuminare il tragitto e per segnalare la nostra presenza alle altre eventuali barche.
Dopo oltre due ore eravamo ancora in mezzo al nulla. A peggiorare ulteriormente la situazione, è chiaro che non avessi segnale nel cellulare: era da diverse ore che non contattavo nessuno, e non avrei avuto la possibilità di farlo per i successivi quattro giorni. Già immaginavo l’ansia di mia madre.
Quando ormai non ci speravo più, superate le dieci di sera, in lontananza intravidi delle luci tremolare sull’acqua: erano le luci provenienti da una piccola imbarcazione, ma sempre più grande di quella sulla quale avevo viaggiato fino a quel momento.
Uno dei tre ragazzini spense il motore, e lasciò che il mare ci trascinasse verso quella che scoprii con sollievo essere la barca di Anjani trip.
La nostra guida Erwin mi accolse divertito e, come prima cosa, mi offrì un piatto abbondantissimo di riso e pollo fritto, che non era mai stato così gradito. Mentre mangiavo, Erwin mi raccontò di tutto quello che mi ero persa durante quella prima giornata ma mi assicurò che la successiva non sarebbe stata da meno.
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