Primi giorni a Bali
il mattino successivo al mio arrivo a Bali mi svegliai con calma, un po' stordita dal fuso orario, ed affamata. Decisi quindi che avrei chiamato un go-jek e che mi sarei fatta portare in un posto carino per fare colazione e che poi mi sarei diretta al mare.
Go-jek è una sorta di uber balinese. Si possono prenotare auto o scooter a seconda delle esigenze e farsi portare praticamente ovunque nell'isola spendendo pochissimo. Per colazione diedi subito il via alla mia ossessione per le coloratissime bowls a base di frutta tropicale e granola, un altro vero e proprio must balinese.
Subito dopo passeggiai verso la spiaggia più vicina, che era quella di Seminyak. Mi stupii del fatto che pochissime persone stessere effettivamene nell'acqua: la stragrande maggioranza delle persone camminava sul bagnoasciuga come me o si rilassava sulle sdraio sorseggiando frullati di frutta fresca. Ho scoperto poi nei giorni successivi che la spiaggia di Seminyak è il luogo ideale per recarsi al tramonto, quando il cielo diventa completamente rosa e si riflette sull'acqua bassa, mentre i bar alzano il volume della musica.
La sera, tornata a casa, trovai Maria, la ragazza messicana che sarebbe stata la mia inseparabile compagna di viaggi, pranzi, colazioni, cene e feste per i successivi due mesi. Cenammo a Canggu, che è l'area più giovane e alla moda di Bali, pienissima di locali particolari e chic, dove è possibile trovare la cucina di qualunque regione del mondo. Mangiammo la seconda bowl della giornata, questa volta a base di pesce crudo, semi di sesamo, germogli e verdure varie ed una salsa piccantissima.
Il giorno successivo era il mio primo giorno a scuola. Rima, la ragazza di Bali Internships, mi raggiunse al Pondok Cintya verso le sette di mattina, per spiegarmi brevemente cosa mi sarei dovuta aspettare per quella giornata. Per prima cosa ci recammo a Pelangi Kasih, che era la scuola pubblica dove avrei trascorso la prima ora della mattina, indicativamente dalle otto alle nove. La scuola era sostenuta da una ONG locale ed era frequentata da bambini provenienti da famiglie piuttosto povere. Nè loro nè le maestre, Mrs. Marlina e Mrs. Priscila, parlavano una parola di inglese. Se questo era da una parte un ostacolo, perchè soprattutto all'inizio la comunicazione mi sembrava molto difficile, dall'altra facilitava il mio lavoro, perchè ogni giorno potevo scegliere qualsiasi argomento da affrontare insieme a loro. Le maestre, tutto sommato, a gesti e con vari giri di parole riuscivano a farsi capire mentre i bambini, tutti di età compresa fra i cinque ed i sette anni, erano sempre attentissimi ed obbedienti. Nelle prime settiamane spaziai con loro dall'alfabeto ai numeri, dagli animali alle parti del corpo, e più passava il tempo più mi sentivo utile ed apprezzata.
L'altra scuola, Kalam Kudus, era una scuola privata. Avrei dovuto insegnare la maggior parte del tempo nella scuola primaria, mentre un giorno a settimana, il lunedì, sarei dovuta andare dai ragazzi del liceo. Con mio grandissimo stupore, vidi fin da subito che questi bambini e ragazzi parlavano inglese perfettamente, sia a livello di vocabolario sia dal punto di vista della pronuncia; tant'è che certe volte mi facevano sentire quasi inutile, e finivamo spesso per fare conversazione su argomenti vari piuttosto che vere e proprie lezioni. Infatti, seppure quasi nessuno avesse bisogno del mio aiuto per parlare l'inglese, molti manifestavano una grande curiosità nei miei confronti, dal momento che avere un'insegnante proveniente dall'altra parte del mondo era per loro una cosa decisamente inusuale ed emozionante. Volevano sapere tutto di me, dai miei cibi preferiti ai miei gusti in fatto di musica, ed erano in particolare attratti dal tema dei viaggi. Ovviamente, a me parlare di tutto ciò faceva solo piacere.
Con numerose modifiche nel mio orario settimanale, e dopo aver trascorso del tempo con tutte le classi di Kalam Kudus, alla fine dei due mesi mi sentivo veramente a casa: tutti i bambini mi chiamavano per nome e correvano ad abbracciarmi quando mi vedevano da lontano, ed io ero contenta di vederli almeno quanto lo erano loro di vedere me.
La stessa cosa capitava a Pelangi Kasih, ma con modalità un po' diverse. Infatti nella scuola pubblica strinsi un rapporto bellissimo con le maestre, che erano molto affettuose, quasi materne con me. Mi ero affezionata molto ai bambini ed ero fiera di riuscire a percepire i loro progressi: piano piano iniziarono a formulare brevi frasi, e diventarono sempre più capaci di esprimersi. Anche se i ragazzi di Kalam Kudus non avevano difficoltà a manifestare affetto, gli sforzi e l'impegno dei bambini di Pelangi Kasih mi rendevano felicissima, ogni giorno più convinta che avevo fatto la scelta più giusta venendo a Bali per insegnare l'inglese.
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