Prime impressioni su Bali
Sono partita per Bali il 14 settembre dall'aeroporto di Roma Fiumicino e, dopo uno scalo a Singapore,sono arrivata a Denpasar la mattina del giorno seguente.
La prima sensazione che ho provato una volta scesa dall'aereo è stata la gioia, poi l'emozione, e poi il caldo. Sì perchè ero felicissima di essere arrivata, sapevo che si trattava dell'inizio di un periodo che di sicuro mi avrebbe lasciato qualcosa di positivo, ma faceva veramente un caldo allucinante.
L'associazione con cui avrei svolto ilprogramma di volontariato, Bali Internships, aveva organizzato per me un servizio di pick up, quindi mi diressi verso gli arrivi e mi misi alla ricerca del mio driver Mr. Kristian. Avevo il suo contatto whatsapp quindi potei facilmente riconoscerlo dalla foto: era un personaggio molto buffo, con una faccia tonda ed un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. Dopo le dovute presentazioni salii sull'auto di quest'omino alto poco meno di me (che, per la cronaca, non sono alta), e ci dirigemmo verso il mio futuro alloggio.
Sulla strada iniziai subito a prendere confidenza con una delle caratteristiche che colpiscono di più di Bali, perlomeno nella zona più vicina all'aeroporto, ossia il traffico. Tutta l'area intorno a Denpasar e Kuta (che sono le zone più sviluppate), da questo punto di vista, veramente invivibile. Nonostante il rapporto fra motorini ed auto sia più o meno di cento ad uno, il che almeno in teoria dovrebbe facilitare lo scorrimento, in pratica si procede a passo d'uomo e si ha l'impressione di rischiare incidenti in continuazione. Il problema principale sulle strade di Bali, a pare mio, è che non ci sono affatto regole: mentre in auto comunque si gode di una minore capacità di movimento, in motorino si può fare tutto quello che si vuole senza alcun problema. Si può procedere contromano, sui marciapiedi, in cinque su un unico mezzo, trasportando gatti o galline, ovviamente senza casco.
Mentre constatavo tutto ciò, Mr Kristian che aveva un livello di inglese ottimo ed una parlantina ancora più ottima, mi dava alcuni consigli su come sopravvivere e come vivere al meglio Bali. Alcuni minuti dopo aver abbandonato l'aeroporto ci fermammo a camabiare dei contanti, dato che farlo in aeroporto sarebbe stato molto più costoso. La moneta indonesiana è la rupia, ed un euro vale circa 17.000 rupie: mi sentii immediatamente ricchissima.
Mano a mano che ci allontanavamo da Denpasar e da Kuta il paesaggio iniziava a migliorare. Sia chiaro, non ci ritrovammo di punto in bianco in mezzo a palmeti, risaie e campi invasi di fiori arancioni, ma le case si facevano più basse, le auto diminuivano, mentre gli hotel ed i ristoranti erano quasi completamentiìe spariti.
"Wellcome to Kerobokan": era la zona dove sarei dovuta rimanere a vivere per due mesi, e dove si trovavano anche le scuole dove avrei dovuto insegnare. Il primo edificio che si presenta quando si arriva a Kerobokan è la prigione, non esattamente il miglior tipo di "wellcome".
Dopo circa quindici minuti in auto dalla prigione arrivammo al mio alloggio, il Pondok Cintya. Come avevo potuto vedere dalle foto che mi aveva inviato l'associazione, (ed in particolare Rima, la ragazza concui ero direttamente in contatto), si trattava di un piccolo complesso formato da otto stanze, ciascuna con il proprio bagno privato, costruite intorno ad un giardinetto con una bella piscina.
Ciò che invece nè io nè gli altri volontari avevamo capito, è che non c'era alcuna cucina: o meglio, c'era un minuscolo fornellino dentro l'abitanzione della ragazza che veniva a fare le pulizie (che non parlava una parola di inglese), e per raggiungerlo era necessario attraversare la sua camera da letto. Non sembrandoci la soluzione ideale e dal momento che, tutto sommato, a Bali si può mangiare molto spendendo poco, non lo usammo mai.
Il Pondok Cintya era abitato da varie tipologie di inquilini: c'erano alcuni volontari della mia associazione, alcuni turisti, ma soprattutto famiglie indonesiane che viveno stabilmente là e che poi conoscemmo nelle settimane successive.
Comunque, essendo arrivata di sabato, le altre volontarie erano via per il weekend e, non sapendo nè cosa fare nè dove andare (e neache come spostarmi. dato che ancora non avevo un motorino), decisi di sistemare la mia stanza e cercare qualcosa da mangiare per pranzo.
Non volevo allontanarmi troppo perchè non potevo utilizzare le mappe del telefono e temevo di perdermi, quindi passeggiai lungo la strada e nei vicoletti poco distanti da Pondok Cintya. Alla fine optai per uno dei tanti warung della zona: gli warung sono la tipologia più tradizionale di ristoranti indonesiani, dove ti viene servito un piatto di riso bianco scondito o di noodles ai quali puoi aggiungere verdure, maiale, pollo, pesce, cereali e numerose salse,attingendo da ciotole che si trovano esposte in vetrina. Seppure non sembri affatto il modo più igienico di mangiare (i miei genitori avrebbero sicuramente storto il naso), è senza dubbio quello più economico e che ti riempie lo stomaco. Per un piatto di riso, pollo e verdura (i tre pilastri dei miei pranzi a Bali) e un bicchiere di tè freddo (altro must balinese) spesi 12.000 rupie, poco più di sessanta centesimi.
Soddisfatta e convinta che per quei due mesi avrei potuto vivere come una regina tornai a casa, tra gli sguardi incuriositi dei passanti che non avevano mai visto una persona, perlopiù evidentemente occidentale, camminare sulla strada (i balinesi, come ho scoperto dopo, non camminano, prendono il motorino per corire qualunque distanza).
Mi addormentai alle tre del pomeriggio e mi svegliai il giorno seguente.
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Commenti (1 commenti)
Ylenia De Riccardis 3 anni fa
Ciao Chiara! Vorrei chiederti delle informazioni più dettagliate sulla tua esperienza a Bali, come posso contattarti?