Carpe diem: la dura legge di un'esperienza all'estero.

Nonostante questo sia un post diretto principalmente a tutti quegli studenti che, in terzo o in quarto liceo, decidono di lasciare il proprio paese nell’ambito di un programma di intercambio internazionale, andando così a vivere in una nuova famiglia, a studiare in una nuova scuola ed a confrontarsi con una cultura che magari differisce totalmente da quella a cui sono quotidianamente abituati, potrebbe, per certi aspetti, essere estensibile anche a chi svolge un’esperienza analoga se pur in campo universitario.

Disgraziatamente, per errore personale, non mi è più possibile continuare la scrittura del post precedente il quale, a livello di contenuti, altro non era che un ‘preludio’ a ciò che nelle seguenti righe verrà esposto. Prima di entrare specificatamente nel merito, quindi, occorre fare qualche premessa.

Settantacinque giorni, o poco più.

Sono passati circa settantacinque giorni da quando, in pieno Agosto, con una valigia colma e tante aspettative, lasciai l’Italia alla volta del grande continente Americano, e più precisamente nel sud dello stesso, in un paese simbolicamente baluardo: l’Argentina, riguardo la quale vi invito a leggere, in questo stesso blog, le precedenti narrazioni.

Questo paese, epidermicamente e socio-culturalmente distante dall’Europa a cui tutti siamo abituati, mi ha permesso, in questi primi due mesi, di cogliere alcuni particolari molto importanti riguardo un’esperienza di questo genere, dandomi interessanti spunti di riflessione che, supposizione personale, contesti magari apparentemente più agiati, non mi avrebbero dato la possibilità di cogliere.

Per questi motivi, quelle che inizialmente potevano sembrare delle difficoltà di un mondo tanto, troppo distante dal nostro, facendomi percepire come socialmente incompatibile alla realtà che tutt'ora mi circonda, non erano altro che naturali complessi di adattamento i quali, a lungo andare, possono trasformarsi in uno straordinario valore aggiunto.

L'adattamento: un passo decisivo.

Vivere e convivere a tutti gli effetti in un paese straniero a questa età, che siano sei mesi o un anno, non è facile, non lo è affatto i primi tempi. "Ma si, forse era meglio il mio paese, chi me l'ha fatto fare", è una fatidica frase a cui molti giungono con percorsi e ragionamenti più o meno comuni, ma, il più delle volte, con risultati differenti.

L'adattamento al nuovo contesto costituisce uno dei momenti più complicati dell'esperienza, non esiste una formula esatta che lo definisca: non è né bianco e né nero. Ci si può adattare con facilità, o per lo meno credere di averlo fatto, o, al contrario, nei casi più estremi, entrare in una vera e propria crisi che, paradossalmente, potrebbe essere una clamorosa fonte di ricchezza futura, troppe volte non compresa.

È proprio dietro questo aspetto, infatti, che si cela la straordinaria chiave di volta della sistemazione e forse dell'esperienza tutta. La questione va di fatto capovolta, più problemi e conseguenti domande appariranno nelle prime settimane o mesi (non c'è un tempo predefinito) e più si imparerà a vedere la realtà con occhi diversi: i problemi non saranno più tali e si acquisirà una maggiore prontezza per l'avvenire.

I complessi iniziali con il tempo scompariranno, verrà meno quel meccanismo dal quale sono essi scaturiti sino ad ora: si tratta di un automatismo comunissimo per chi si trova nell'ambito di un'esperienza simile, ossia quello di comparare, non appena si giunge nel nuovo paese, tutto e tutti con ciò che si aveva nel proprio, di paese, finendo per fare degli assurdi paragoni privi di luogo e di senso. L’errore di fondo presente infatti in questa ottica risiede nel non considerare le differenze contestuali ed i presupposti che hanno portato alla formazione delle stesse: non tutto può essere soggetto a paragoni laddove non si hanno le stesse premesse (di qualunque genere). Ogni contesto ha una storia a se, conservando aspetti e peculiarità intrinseche alla sua natura: confrontare è naturale e forse spontaneo, tuttavia categorizzare è quanto di più sbagliato ci possa essere.

Il tempo: un elemento ricorrente.

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Un aspetto di altra fondamentale ed intuibile importanza lo costituisce senza dubbio il tempo, che, per più di qualche ragione, gioca un ruolo determinante nel giusto esito dell’esperienza interculturale. Quest’ultimo, infatti, se da un lato possa essere visto come un possibile alleato nel superamento delle naturali difficoltà iniziali, come poi di fatto è, non può e non deve assolutamente costituire un’attenuante dietro la quale celarsi.

Il tempo aiuta, ed è un dato di fatto, ma affidarsi ad esso come unica spiegazione e, allo stesso tempo, soluzione possibile a tutti i problemi aspettando che le cose ‘si sistemino da sole’ potrebbe essere letale. Aspettare non fa mai male, ed è giusto sia così, ma l’attesa, specialmente se prolungata, non deve trasformarsi in passività. Altro aspetto che potrebbe avvalorare quanto appena descritto viene sicuramente rappresentato dalla constatazione che l’esperienza, purtroppo, non ha una durata infinita: giocarsi le proprie carte e capire quando farlo è tutto ciò di cui si ha bisogno.

Uscire, conoscere, scoprire.

La sfera sociale diventa dunque un campo di gioco decisivo in questa ottica, se c’è una cosa che infatti maggiormente mi ha aiutato in questi quasi ottanta giorni è stata proprio la conoscenza di nuove persone e di nuovi contesti. Uscire, qui da intendere in tutte le sue sfumature, è la strada più semplice ed efficace da percorrere.

Se magari le prime settimane siano definibili come il tempo del ‘pensare’, le successive potrebbero essere accostate a quello ‘del fare’; rompere i propri schemi senza pensarci due volte e trattare di ‘buttarsi’ a capofitto in qualunque spiraglio si liberi. Al contrario, un’eccessiva chiusura dentro le mura domestiche ed in se stessi non aiuta, anche se apparentemente la casa, per non parlare della propria stanza, possa sembrare quasi una scelta obbligata fronte ai numerosi problemi che pervadono i vari contesti esterni ad essa e che non ci permettono di vivere l’esperienza come vorremmo, è in realtà un’ambiente da cui cercare, in questi casi, di distaccarsi.

Nella logica di questo ragionamento diventa quindi fondamentale mettere da parte con tutte le forze a disposizione i nostri limiti e le nostre resistenze, vincere il muro della passività e superare lo scoglio dell’esitazione, anche quando apparentemente sembra non esserci il giusto stimolo, la giusta motivazione, in realtà è la stessa volontà la vera motivazione. Questi aspetti, tuttavia, potrebbero risultare di maggiore influenza se abbinati, e quindi correlati, ad altre piccole attenzioni che, nel loro insieme, fanno la differenza; vediamo di citarne qualcuna.

La pericolosità dei social network

Il cellulare, specialmente a questa età, è ormai parte integrante di ogni singolo aspetto della nostra vita, figuriamoci se poi si affronta un’esperienza di questo genere: il suo utilizzo, per varie ragioni, potrebbe balzare ad un livello pericoloso. Trovo infatti in questo dispositivo una delle principali cause di alimentazione della maggior parte dei superabili problemi legati all’adattamento poc’anzi indicati. La facilità con la quale quest’ultimo ci mette in contatto praticamente con tutto il mondo, rendendoci apparentemente vicini, potrebbe rivelarsi a tutti gli effetti un’arma a doppio taglio.

Ad esempio, in un iniziale stato di adattamento, con la comparsa dei primi problemi, l’uso dei social e di tutto ciò che comporti la visione di cosa accade parallelamente nel paese di provenienza, sarebbe con tutta probabilità un incentivo alla comparsa, oltre che di un temibile senso di nostalgia, di tutti quei paragoni e quelle categorizzazioni di cui si parlava nel paragrafo iniziale.

Per di più, la distorsiva realtà dei social, potrebbe generare nel soggetto in questione un sentimento di angoscia dovuto a ‘chi sta meglio di lui ’, ma non nel suo paese di origine, bensì proprio in quello dove si sta svolgendo il programma interculturale, alimentando così ulteriori complessi e ‘catene psicologiche’ che solo limitano la visione dell’esperienza nel suo insieme. Occorre utilmente ricordare che non sempre ciò che si vede nel vasto mondo di internet corrisponde alla realtà, tuttavia la sua potenza nei nostri confronti è grandissima, specialmente in situazioni come queste.

Appare quindi chiaro che, oltre che per ragioni prettamente legate all’utilizzo del proprio tempo a disposizione (perché sprecarlo con il cellulare?), è soprattutto l’accesso ai ‘contenuti resi pubblici’ ad essere la maggior fonte di problemi, distogliendo completamente, tra l’altro, il ragazzo/a da aspetti di gran lunga più importanti e sui quali varrebbe la pena concentrarsi maggiormente.

Se, come abbiamo detto, potrebbe essere completamente controproducente concedersi, nella fase iniziale, ad eccessivi paragoni laddove essi stessi si trasformino in categorizzazioni, lo stesso accade con la valutazione della propria esperienza. Una delle principali ricchezze di questo percorso sta proprio nella sue differenti sfumature, costanti generatrici di imprevedibili effetti che non possono assolutamente ridursi ad una semplice classificazione e generalizzazione: non esiste una ‘legge’ non scritta che valuti il corretto svolgimento del programma, non c’è univocità.

A cosa serve, quindi, tormentarsi con complessi, ansie e paure che, come detto antecedentemente, poco tengono conto delle differenze contestuali sopra le quali esse stesse prendono forma?

Dimentica i tuoi canoni

Chiaramente e come accennato nelle prime righe di questo testo, qualsiasi giudizio (negativo o positivo che sia) riguardante tutto ciò che si incontra nel nuovo paese, soprattutto se espresso nelle prime settimane, deriva dalla nostra naturalissima incapacità di guardare ciò che ci circonda con occhi differenti, mostrando qualche timido accenno di una pericolosa chiusura visiva e mentale la quale, in realtà, potrebbe, supposizione personale, essere solo frutto di un eccessivo periodo di letargo ed addomesticamento a cui siamo stati abituati nella nostra società di provenienza.

Anche in questo caso, l’errore che forse si commette è quello di ignorare completamente la base reale. Può accadere infatti di entrare nell’esperienza ‘ a piedi pari ’, ossia pensare di poter ‘innescare’ i personali automatismi mentali e comportamentali come se si fosse nel proprio paese, attuando lo stesso metro di giudizio in una realtà magari completamente differente.

Questo comportamento, che in ogni caso non deve creare eccessivi allarmismi (ci passiamo praticamente tutti), può quindi generare delusioni, senso di smarrimento e percezione di incomprensione reciproca. Occorre dunque un cambio radicale nella nostra concezione, a cominciare dal nostro senso critico.

La famiglia, una sicurezza.

Lasciata per ultima, o quasi, ma estremamente importante è invece la (nuova) sfera familiare (per gli studenti che, chiaramente, si trovano nella condizione di averla). La famiglia è l’origine, ciò da cui molto scaturisce e sottovalutare il suo peso all’interno dell’esperienza potrebbe essere fatale. ‘Percepirla’ come una semplice sistemazione, un luogo dove poter dormire e mangiare per poi dedicarsi ad altro non aiuta affatto l’integrazione nel tessuto contestuale, al contrario, si potrebbe quasi con certezza affermare che la felicità derivante dalla stessa esperienza e, più specificatamente, dal proprio inserimento ed adattamento, sia direttamente proporzionale alla partecipazione del ragazzo/a alla vita familiare, baluardo non sostituibile.

Instaurare un buon rapporto con le persone che condividono la tua casa, svolgere attività insieme e condividere con loro tutto ciò che è possibile (nei limiti personali, chiaramente), anche a partire dal racconto del più banale avvenimento accaduto in giornata, rappresenta un potentissimo strumento a nostra disposizione.

Assumono quindi grande importanza tutti i pretesti che possano lasciare spazio alla convivialità ed alla spontaneità e che, più genericamente, promuovano la comunicazione ed il confronto reciproco.

Dopo tutte queste parole, ho cercato brevemente di riassumere quelli che, a parer mio, sono gli elementi di maggior influenza nella ricerca della propria, singolare e soggettiva esperienza. Non esistono regole, non ci sono dogmi, la reale qualità che lo studente di intercambio avrà acquisito a fine percorso sarà proprio quella di

Guardarsi intorno, amare le difficoltà, cogliere le differenze, in ogni momento. Carpe diem, quam minimum credula postero.

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