Pro e contro dell'euskera

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Ciao a tutti! Oggi voglio condividere con voi la mia lingua madre: l'euskera. È una lingua isolata, parlata solo nel nord della Spagna cioè nei Paesi Baschi, in particolare nella Comunità Autonoma Basca, Navarra e nel territorio basco francese. È la lingua di più di un milione di persone, inclusi i parlanti passivi (cioè chi la capisce perfettamente ma non la parla). Il numero aumenta sempre di più grazie alle varie iniziative e ai vari eventi promulgati per promuoverne l'uso e sottolinearne l'importanza nell'ambito dell'istruzione e del lavoro.

È una lingua isolata, il che significa che non appartiene a nessuna famiglia linguistica conosciuta. Per questo motivo è una lingua molto interessante da imparare e può essere una porta verso una cultura totalmente nuova, quella basca.

In questo articolo mi piacerebbe spiegarvi quali sono i pro e i contro di studiare l'euskera, se la vostra lingua materna è lo spagnolo o un'altra lingua romanza. È che non saprei riconoscere le difficoltà che potrebbe incontrare chi parla una lingua germanica, slava o cinese.

Pro

1. Non ha una pronuncia difficile

A differenza delle lingue germaniche, del greco o del portoghese, l'euskera si legge così come si scrive. Non ci sono dittonghi che si pronunciano in maniera diversa rispetto a come si scrivono o combinazioni di consonanti che formano un fonema completamente diverso.

Ovviamente ci sono delle eccezioni, tre in particolare. La prima è -il. Molti la pronunciano così come è scritta, ma non è il modo giusto. Questa sillaba dovrebbe essere letta come -iy. Alcuni esempi sono: "uztaila", che significa "luglio" e si dovrebbe pronunciare "/ustaiya/", oppure "bilatu", che significa "cercare" e si dovrebbe pronunciare "/biyatu/".

La seconda eccezione è -in. Si pronuncia come -iñ, in spagnolo, ed è molto usata nel dizionario basco. Non è sempre così, però, perché dipende dalla parola. Se la sillaba -in compare alla fine di una parola, per esempio "orain" (ora), il fonema /-iñ/ non è molto forte, anzi è quasi inesistente. Tuttavia, nelle altre parole come "baina" (ma), "adina" (età) o "egina" (fatto, come participio del verbo fare), il fonema /-iñ/ si sente eccome.

La terza eccezione è la combinazione -tt, che esiste solo nei dialetti ma non nell'euskera standard. Questa doppia "t" viene chiamata "t bustia" perché è un misto tra la /ch/ spagnola e la /t/. È normale che all'inizio non vi riesca bene, molte persone non sono in grado di pronunciarla ma è solo questione di tempo. Prima o poi ci riuscirete senza neanche rendervene conto. Alcuni esempi di parole con -tt sono: "aittitte", che significa "nonno" (in euskera standard si dice "aitona") e "politte", cioè "carino" (in euskera standard diventa "polita").

Ma non è finita qui, ci sono tante altre eccezioni. Forse nella provincia di Biscaglia non si nota molto, ma a Guipúzcoa le persone non sanno pronunciare in maniera diversa queste sillabe. "ts", "tz" e "tx" o la "s" e la "z". Infatti a Guipúzcoa, la "z" è sibilante, come se fosse il verso di un serpente. È molto difficile da spiegare a parole, ma se fate un giro su internet riuscirete a capire cosa intendo. Io non riesco a pronunciare questo tipo di "z", men che meno la "tz".

In Biscaglia, d'altro canto, la "x" si pronuncia come l'inglese /sh/ ma con più forza. È simile all'onomatopea che si usa per intimare silenzio (shh), però ancora più forte. Abbiamo altri suoni particolari in Biscaglia, forse dovuti all'influenza del dialetto biscaglino, ma ve li dirò più tardi.

2. Esistono molti neologismi

L'euskera non appartiene a nessuna famiglia linguistica ed ha subito una forte oppressione durante la storia. Per questo motivo, molte delle parole del suo lessico sono cadute in disuso e sostituite da neologismi presi dallo spagnolo, dal francese e dal latino. Alcuni esempi sono "eliza" (chiesa) dal latino "ecclesia", "gorputz" (corpo) dal latino "corpus" o "balea" (balena).

Nel XIX il politico e scrittore Sabino Arana, ha inventato nuove parole per l'euskera, chiamate "sabinismi", per "svuotare" un po' il vocabolario della lingua basca dai neologismi. A lui si devono parole come "idatzi" (che significa scrivere); "lehendakari"(presidente); "argazki" (foto), e altre parole.

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Nonostante questo, ci sono ancora molti neologismi nell'euskera. Molti fanno parte dell'ambito scientifico e tecnologico, ma altri no. Per esempio "funtzionatu" (funzionare), "airea" (aria), "interakzio" (interazione), "auto" (macchina), "telefono", "ordenagailu" (computer), "barietate" (varietà), "letra" (lettera), "txokolate" (cioccolato), "prozesu" (processo), "familia" (famiglia) e altre. Ovviamente ci sono alcuni sinonimi come "mugikorra", che significa "telefono"; "elkarrekintza" che significa "interazione" ecc. Sfortunatamente la società ha preferito utilizzare i neologismi visto che somigliano di più alle parole spagnole e quindi è più facile memorizzarle.

È vero però, che abbiamo parole che non assomigliano a nessun'altra lingua e che hanno dei significati stupendi. Per esempio "harresi", traduce la parola "muro" ma in realtà significa "valle di pietra", oppure "ekhilore/eguzkilore", indica il girasole ma significa "il fiore del sole". Qualche tempo fa, è diventato famoso su Twitter un post che spiegava i significati di alcune parole in euskera come "bihotz", cioè "cuore" che letteralmente significa "due voci", "otsaila", cioè "febbraio" o "mese dei lupi", oppure "amona", cioè "nonna" o "buona mamma". E la lista non finisce qui.

Riuscite a vedere la bellezza che nasconde l'euskera? Ci sono parole finemente studiate che sembrano essere state pensate con il cuore.

Ci sono anche parole composte che sono l'esatto calco delle parole spagnole, per esempio "urtebetetze" (compleanno), "telelaguntza" (teleassistenza) e tanti altri ancora.

Ecco una lista di parole che hanno un significato unico che non somiglia a quello di nessun'altra parola.

  • "Ur-jauzi": cascata, acqua che cade
  • "Aterpe": luogo coperto, sotto la porta
  • "Maitemindu": innamorarsi, amore sofferto
  • "Bihotzerre": acidità, ardore del cuore
  • "Hegazti": uccello, quello che vola
  • "Eskumutur": polso, bordo della mano
  • "Ilargi": luna, la luce dei morti
  • "Amuarrain": trota, pesce da lenza
  • "Eguraldi": tempo meteorologico, il momento del giorno
  • "Itsasargi": faro, la luce del mare

3. Non esiste la tilde

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Questo è un grande vantaggio. A differenza delle altre lingue, come il portoghese, il catalano, lo spagnolo, il galiziano, il francese, l'italiano e altre, l'euskera non ha nessuno tipo di tilde, ma sì ha degli accenti. Cambiano in base al dialetto, ma in generale sono molto simili tra loro. La cosa difficile è che alcune parole hanno due accenti, per esempio la parola "irakasle": Il primo accento si trova sulla prima "a" e questo rende la parola sdrucciola. Il secondo accento si trova sull'ultima lettera, cioè la "e", ma in questo caso il tono è meno forte.

Ovviamente, ogni dialetto ha la propria maniera di accentuare le parole. Infatti nel mio dialetto, non esiste questa parola ma esiste "maisu" e "andereño", che hanno lo stesso significato cioè, rispettivamente, "professore" e "professoressa". Quando parlo in euskera standard accento la parola "irakasle" sulla seconda "a". Non la pronuncio come si dovrebbe, ma a modo mio.

Non è una cosa rara, per cui non preoccupatevi se non pronunciate nella maniera corretta, magari lo state dicendo correttamente in dialetto, senza saperlo. Di solito si accenta la seconda sillaba e quando la parola è bisillabica o trisillabica, si accenta la prima.

Molti dialetti vanno oltre questa semplice regola. In Biscaglia, per dire "bambino" diciamo "umié", con accento sull'ultima vocale, ma al plurale diventa "umíek". Quando "bambino" è il soggetto di una frase transitiva, la parola diventa "umiék", perché la "k" indica il caso. Se il soggetto è plurale, "bambini", l'accento non cambia e la parola resta sempre "umíek". Può sembrare molto complicato, ma questo succede solo nei dialetti, almeno in quello biscaglino.

4. Non esiste il genere

Nell'euskera, non esiste il genere né nel sostantivo, né nell'aggettivo. Le frasi "il ragazzo è bello" e "la ragazza è bella" si traducono rispettivamente "mutila polita da" e "neska polita da". Il genere dei sostantivi è individuato dalla presenza di due termini diversi "mutila" (ragazzo) e "neska" (ragazza), mentre il genere dell'aggettivo non è mai marcato. Nel caso dei mestieri? Non esiste genere neanche in questo caso. Per dire "infermiere/a" esiste un'unica parola "erizaina", così come per "cuoco/a", che si dice "sukaldaria".

Neanche il pronome personale di terza persona, sia singolare che plurale, ha una forma femminile e una maschile. "Bera" identifica sia "lui" che "lei". Non c'è genere. Funziona così anche per la terza persona plurale, "haiek" e per i dimostrativi: "hau", "hori" e "hura", "questo/a", "codesto/a" e "quello/a".

Tuttavia, si può marcare il genere degli animali. Per esempio "gatto" si dice "katua" e "gatta" si dice "katua emea", dove "eme" significa "femmina".

Contro

1. Non ha nessun tipo di relazione con le altre lingue esistenti

L'euskera non appartiene a nessuna famiglia linguistica, per questo è una lingua isolata. Alcuni studiosi hanno proposto teorie che la vedevano in relazione con alcune lingue caucasiche o berbere, ma nessuna di queste è risultata giusta. Si tratta di una lingua che veniva già parlata nella penisola basca prima che arrivassero le lingue indoeuropee.

Per questo motivo, sono tante le parole che non hanno nessun collegamento con quelle di altre lingue. Se non ci credete ora vi mostro alcuni esempi, visto che ho fatto un progetto all'università proprio su questo.

Lingue europee occidentali: "piedra" (spagnolo), "pedra" (portoghese), pietra (italiano), "stein" (tedesco), "stone" (inglese), "harri" (euskera).

Lingue europee orientali: stella, "stea" (rumeno), "zirka" (ucraino), "zvezda" (russo), "asteri" (greco), "zvezda" (serbo), "gwiazda" (polacco), "hvězdička" (ceco), "stejrners" (norvegese), "izar" (euskera). Potete notare che rumeno, greco e italiano sono simili, così come il norvegese e l'inglese, il russo e il serbo e il ceco e il polacco. Ma l'euskera?

Sicuramente l'euskera è pieno di parole di origine greca, latina, celtica, tedesca e araba, ma ci sono anche alcune parole che non assomigliano a nessun'altra parola. Per questo è una lingua difficile da imparare.

2. Il lessico cambia in base alla zona

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Di questo ne abbiamo già parlato sommariamente. A causa della zona di influenza dell'euskera e a causa della presenza di territori isolati dalle montagne, ogni paese ha adattato il lessico alle proprie necessità creando un vocabolario distinto. In totale, ci sono sette dialetti baschi, ma all'interno di ognuno convivono diversi modi di parlare, come succede nei territori andalusi e di Castiglia-La Mancia.

Nell'euskera standard, per esempio, "polpo" si dice "olagarroa", ma a Bermeo è "amorrotza" e a Getaria "alarrua". Oppure, "subito" si dice "berehala", ma in altri dialetti "belaxe", "laixterka", "kuxian", "agudo" o in altri mille modi ancora.

Per notare queste differenze non c'è bisogno di allontanarsi troppo. A Guernica, "velocemente" si dice "arin", ma a Busturia, un paese a otto chilometri di distanza, si dice "agudo" e a Mendata, a sette chilometri, si dice "abiedan".

Non cambiano solo i sostantivi e gli aggettivi ma anche le congiunzioni, le coniugazioni dei verbi, i verbi stessi e altro ancora.

Questo non è un ostacolo per la comunicazione, perché la maggior parte dei baschi capisce perfettamente l'euskera standard e non avrà problemi a parlare. Magari anche loro vi risponderanno in euskera batúa, cioè standard. Nel caso in cui non lo facciano, chiedeteglielo voi. Non dovrebbe essere un problema.

3. L'ordine delle parole e il caso ergativo

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L'ordine delle parole è la più grande difficoltà dell'euskera per chi parla spagnolo. L'ordine è SOV cioè soggetto-oggetto-verbo, mentre in spagnolo, così come in italiano, è SVO (soggetto-verbo-oggetto).

Per esempio la frase "il cane vuole mangiare", in euskera diventa "txakurrak jan nahi du", cioè "il cane mangiare vuole". Un'altra grossa difficoltà è l'ergativo. È il caso nominativo e serve a distinguere la struttura transitiva da quella intransitiva mediante l'uso di una sola lettera: "k". La frase transitiva comprende un oggetto diretto, mentre quella intransitiva, no.

Un esempio è "la casa ha delle crepe", dove "crepe" identifica l'oggetto diretto. In questo caso la traduzione in euskera sarebbe: "etxeak arrailak ditu".

La cui analisi morfologica è:

"Etxe" (casa) + "a" (articolo singolare) + "k" (caso ergativo).

Al plurale "etxeak" diventa "etxeek" ("etexe"+"ak", articolo determinato plurale, +"k"). La lettera "a" dell'articolo determinato si trasforma in "e" per evitare confusioni, visto che "etxeak" può significare sia "le case" che "la casa", nel caso della frase transitiva. E non è quello che vogliamo.

D'altro canto, la frase intransitiva sarebbe "etxea eraitsi egin da", "la casa è crollata", perché non c'è nessun oggetto diretto. Per rendere questo discorso più chiaro basta vedere il passato prossimo francese che differenzia la struttura transitiva da quella intransitiva utilizzando, rispettivamente, il verbo avere ed essere. Per esempio, "il a jeté l'éponge", che significa "ha gettato la spugna" esprime la costruzione transitiva tramite il verbo avere. Nel caso della struttura intransitiva "je suis parti" (io sono partito), si usa il verbo essere.

Ritornando al tema dell'ordine delle parole, questo diventa sempre più difficile, quanto più lunga è la frase. Visto che il verbo deve essere posto alla fine della frase, più lunghi sono i sintagmi, più difficile sarà formare la frase.

Esempio: "la ragazza mi chiesto se volessi mangiare con lei". In euskera sarebbe: "neskak berarekin jatea nahi nuen galdetu zidan". Ma ora analizziamola parola per parola:

"neskak" (la ragazza, caso ergativo), "berarekin" (con lei) "jatea" (mangiare) "nahi" (volere) "nuen" (se + io, al passato) "galdetu" (chiedere) "zidan" (lei a me, al passato).

I verbi ve li spiego nella prossima vignetta.

Per capire meglio l'ordine delle parole in euskera, abbiamo bisogno di una frase più lunga come "la ragazza del parrucchiere mi ha chiesto di andare a prendere suo figlio piccolo all'uscita della scuola alle quattro del pomeriggio". È difficile anche formularla in italiano figuriamoci in euskera!

La traduzione sarebbe più o meno: "ileapaindegiko neskak galdetu zidan bere seme txikia jaso ahalko nuen bera klasetik irten eta gero, arratsaldeko lauetan". È chiaro che non è una frase semplice.

Visto che è molto lunga è difficile posizionar il verbo principale, in questo caso "galdetu", alla fine e per questo si pone subito dopo il soggetto. La traduzione letterale sarebbe:

  • "Ileapaindegiko": del parrucchiere
  • "Neskak": la ragazza, in caso ergativo
  • "Galdetu": chiedere
  • "Zidan": lei a me, al passato
  • "Bere": suo
  • "Seme": figlio
  • "Txikia": piccolo
  • "Jaso": prendere
  • "Ahalko": potere (si può dire anche "ahal izango")
  • "Nuen": io a lui
  • "Bera": lui
  • "Klasetik": da scuola
  • "Irten": uscire
  • "Eta gero": dopo che
  • "Arratsaldeko": di pomeriggio
  • "Lauetan": alle quattro

Questa frase termina come in italiano, cioè con "alle quattro". Tuttavia non succede sempre.

Forse vi ho spaventati, visto che è un po' difficile da capire, ma con il tempo ci si abitua. Arriverete a parlare senza neanche rendervene conto.

4. L'aspetto dei verbi

In euskera, ci sono due tipi di forme verbali: i verbi composti da due o più parole, chiamati perifrastici, come "jan egin dut" (ho mangiato), e i verbi formati da una sola parola, sintetici, come "dakarzu" (tu porti).

I verbi sintetici sono pochi, i principali sono: "ekarri" (portare), "izan" (essere), "eduki" (avere), "eraman" (portare), "ibili" (andare), "jakin" (sapere). Ma non pensate che siano più semplici perché composti da una sola parola. In euskera è il contrario di quello che ci si aspetta.

Per dimostrarvelo vi presento la coniugazione del verbo "eraman":

Yo daramat, io porto

Tú daramazu, tu porti

O quella di "ibilli":

Yo nabil, io cammino

Tú zabiltza, tu cammini

La coniugazione dei verbi perifrastici è più semplice, visto che segue uno schema ricorrente.

Per esempio il verbo "jan", mangiare:

Yo jaten dut, io mangio.

Tú jaten duzu, tu mangi.

Oppure la coniugazione del verbo "abestu", cantare:

Yo abesten dut, io canto.

Tú abesten duzu, tu canti.

Si utilizza il sistema verbale Nor-Nork fin quando non si aggiungono alla frase degli oggetti diretti. Ma non preoccupatevi ne parliamo meglio tra un po'.

L'infinito, come in italiano, si forma in diversi modi. Ci sono verbi che terminano in -tu, come "ospatu" (celebrare), altri che terminano in -n, come "egon" (stare) e altri che terminano in -i, come "ebaki" (tagliare). Ci sono anche verbi che vanno in coppia con altri verbi, come "egin" (fare), per esempio "igeri egin" significa "nuotare", mentre "negar egin" significa "piangere".

Come in molte altre lingue, in euskera esistono i tempi verbali, ma non sono tanti quanti quelli italiani. Esiste il presente, il futuro e il passato dell'indicativo poi c'è il congiuntivo, il condizionale, il potenziale ("ahalera" in euskera) e l'imperativo.

Cos'è il potenziale? Beh potrebbe essere quello che si riferisce ad azioni possibili, ed è espresso dal verbo "potere". Non è così semplice come sembra. Per molti può rivelarsi un vero inferno. Anche il condizionale è un po' complicato perché può essere un'ipotesi (se), una conseguenza del passato o del presente. Che significa? Vediamolo in questa frase:

"Se lo avessi fatto, sarei rimasto senza capelli".

"Se" è la condizione mentre "sarei rimasto" la conseguenza del passato.

Questo fa parte di una struttura verbale complessa dove in base alla persona che realizza l'azione e quella che la subisce, il verbo cambia. Per farvi capire bene, ho messo qui la tavola dei verbi in dialetto biscaglino. Ma se vi interessa la tavola dei verbi in euskera standard, basta cercare su internet e ne troverete tantissime.

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5. I sistemi verbali

Anche in questo caso vi ho caricato una foto. L'euskera possiede quattro sistemi verbali, nei quali si coniuga l'ausiliare dei verbi insieme a più di una parola. I quattro sistemi sono questi:

Nor.

Nor-Nork.

Nor-Nori.

Nor-Nori-Nork.

Cominciamo dal primo. Il sistema Nor è il più semplice e significa "chi". Si usa quando nella frase non c'è l'oggetto diretto, quindi in frasi transitive. Per esempio: "Questa mattina ho guidato". In euskera sarebbe: "Gaur goizean gidatu egin dut", dove "dut" è l'ausiliare del sistema "Nor".

I tempi verbali in questo sistema sono uguali al solito: presente e passato indicativo, le tre forme del condizionale (condizione, conseguenza del presente e del passato), le tre forme del potenziale (presente, passato e periodo ipotetico), il passato e il presente del congiuntivo e l'imperativo. Questo sistema non segue una regola di coniugazione, a differenza degli altri tre, ma è il più semplice da apprendere e poi è il più usato.

Ma come si fa se in euskera non esistono il futuro e il passato prossimo? Si guarda alla flessione del verbo principale, per esempio:

  • Io sto cadendo è "ni erortzen nago".
  • Io cado è "ni erortzen naiz".
  • Io sono caduto è "ni erori naiz".
  • Io cadrò è "ni eroriko naiz".
  • Io cadevo "ni erortzen nintzen".
  • Io cadrei "ni eroriko nintzen".
  • Io caddi è "ni erori nintzen".

Come vedete, il verbo principale cambia in base al tempo. Per questo, quando l'ausiliare resta invariato in alcuni tempi verbali (come accade con "naiz", in questo caso), è la flessione del verbo principale ad identificare il tempo dell'azione.

Questo sistema si usa con verbi di movimento, come "ibili" (camminare), "joan" (andare), "etorri" (venire), "igo" (salire), "egon" (stare), "gaixotu" (ammalarsi), "haserretu" (arrabbiarsi) e altri.

Il secondo sistema è Nor-Nori, ed è un po' più complicato. "Nor" si riferisce a "chi" o "cosa" è protagonista dell'azione e il "Nori" a chi è diretta l'azione. Non è così semplice perché anche il sistema "Nor-Nork" funziona più o meno così. Certamente c'è una grossa differenza tra i due sistemi. Nel caso del Nor-Nori le frasi sono intransitive.

Per esempio:

"A me piacciono gli aerei", dove "aerei" è il "nor" mentre "a me" è il "nori".

"Ti si è sporcata la maglia", dove "maglia" è il "nor" e "ti" è il "nori".

"Mi piace questo aereo", in euskera si traduce con "hegazkin hori gustatzen zait", con ausiliare "zait". Ma se diciamo "mi piacciono questi aerei", l'ausiliare cambia in "zaizkit", che è la forma plurale.

Tutte le frasi composte secondo questo sistema sono simili agli esempi appena fatti. Ma ci sono alcune strutture più complesse, come "Nostra figlia si è sposata", "mi risulta facile dimagrire", "l'elettricista è venuto a casa mia" e altre.

Il sistema Nor-Nork si usa nelle frasi transitive, quelle che hanno il complemento oggetto, per esempio "ho rotto lo schermo" oppure "ti ho ingannato".

La prima frase in euskera si traduce così: "nik pantaila apurtu dut". Il soggetto, visto che la frase è transitiva, deve essere seguito dalla marca dell'ergativo, cioè la "k". Quindi "ni" (io) diventa "nik". D'altro canto, "dut" è l'ausiliare del verbo "apurtu", coniugato su schema Nor-Nork. Se il tempo verbale fosse stato un altro, per esempio il condizionale, la frase sarebbe stata questa "nik pantaila apurtuko nuke".

Ma non è così semplice. Quando nella frase sono presenti più soggetti, la flessione del verbo cambia. Per esempio, la frase "tu mi hai ferito" si traduce come "Zuk mindu nauzu". Dove "zuk" è "tu" al nominativo e "nauzu" è l'ausiliare. Invece, "io ti ho ferito" in euskera diventa "nik mindu zaitut" e la forma dell'ausiliare cambia completamente.

Infine c'è il sistema Nor-Nori-Nork. Nonostante abbia il nome più lungo, non è quello più complicato. In queste frasi ci sono solo tre elementi. Generalmente sono due persone e un oggetto, ma possono anche essere un persona e due oggetti, solo tre persone o solo tre oggetti. "Nork" è il soggetto che realizza l'azione, "Nor" l'oggetto e "Nori" l'altro soggetto, quello che riceve o percepisce l'azione. Tutto questo si può riassumere nella frase "mia madre mi ha prestato i soldi". Dove, "mia madre" è Nork, "io" è Nori e "soldi" è Nor.

Nel sistema Nor-Nork abbiamo analizzato la frase "tu mi hai ferito", ma cosa succede se diciamo "mi hai fatto del male"? Il sistema verbale cambia.

Infatti, questa frase si traduce così: "zuk min egin didazu". Dove "zuk" è Nork, "min" è Nor e "io" (omesso) è Nori. L'ausiliare è "didazu". Gli ausiliari, in questo sistema, non cambiano molto anche se sono più lunghi, come "zenizkidaten" (voi a me cose, in senso passato) oppure "dizkiguzue" (voi a noi cose, in senso presente).

Per oggi è tutto. Ci sono tante altre cose nell'euskera che possono sembrare complicate, per esempio i pronomi relativi, le frasi subordinate o la posizione delle preposizioni. Ce ne sono altre, invece, più semplici come il vocabolario limitato e la sinonimia e l'assenza di un pronome personale di cortesia (in passato era usato, ma ora non più). Per concludere, penso che tutto quello di cui abbiamo parlato in questo articolo possa avervi aiutato, e in qualche modo avvertiti, su tutti i pro e i contro della grammatica basca.

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Un bacio a tutti e a presto!


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