Toccata e fuga

Ho sempre desiderato fare un viaggio organizzato in maniera molto a caso, senza troppe pretese e senza l'ansia di tutti i dettagli da pianificare. L’idea di Villach sopraggiunge qualche giorno prima del compleanno della mia coinquilina, la quale si mostra intenzionata a voler passare un giorno alternativo per festeggiarlo, possibilmente facendo un viaggio. Da brave studentesse squattrinate fuori sede e nel bel mezzo di un semestre, le proposte per fare vertono attorno a  quelle lowcost per quanto riguarda treni/bus/aerei e pur di risparmiare ci si adatta ad ogni circostanza.

Lei mi coinvolge nella sua iniziativa e mi lascia il compito di dover cercare, alla sola condizione di trovare una meta che non sia in Italia. L’esigenza di star lontano dalla routine, lasciandoci i pensieri e le preoccupazioni di ogni tipo alle spalle sta alla base di questa clausola. Senza troppa fatica, mi limito ad andare sul sito di Flixbus, seleziono Venezia, la mia attuale città di studi, e osservo le varie destinazioni che la mappa indica. Tutto ciò verso la fine di ottobre. Le più papabili sono Innsbruck, Klagenfurt e Villach e grazie a qualche foto sparsa in rete e informazioni cercate in maniera frugale, ci lasciamo convincere da quest’ultima, soprattutto perchè il prezzo dei biglietti andata e ritorno ammonta a 26€ totali. Tenendo fede alla nostra parsimonia, scegliamo di tagliare anche i costi del pernottamento e realizzare il tutto in una singola giornata, al costo di dover dormire in pullman. 

Data di partenza: 4 novembre. Ora: 1.15 di mattina. A pensarci a primo impatto non è niente di eclatante, è più che fattibile, specie nel caso di eccessiva stanchezza, si può dormire il pomeriggio del giorno prima o la sera, in modo da viversi l’avventura in maniera fresca e spensierata. Tengo a precisare che in tale giorno fortuito la situazione mi ha voluto a lezione il pomeriggio e la sera ad un impegno inevitabile organizzato dalla casa studentesca, in cui viviamo,  perchè si, oltre ai soliti impegni settimanali immancabili nella propria agenda, durante l’anno ne cade qualcuno extra e fortuna vuole che sia il 3 di questo mese. Pertanto ci accontentiamo della notte precedente e delle 3 ore e un quarto che il comodo pullman concede.

Data del ritorno: 5 novembre. Ora: 1.30 di mattina. La previsione del grado di stanchezza costituisce un terno al lotto, ergo ci aspettiamo di esser briose, e allo stesso modo anche di stremare al suolo. Senza troppe illusioni, visitare qualcosa al di là del confine in after. D’altro canto questo è l’unico orario disponibile sul sito se si intende intraprendere questa tratta.

Ci tengo a dire che precisamente vivo a Venezia Mestre, luogo che di certo non vanta per la sua sicurezza a una certa ora la notte, ma incamminandoci, nell’attraversare la via che conduce alla stazione, io mi sento rassicurata dal fatto di esser in compagnia della mia amica che è cintura nera di karatè, pertanto avrebbe fatto ko eventuali aggressori. Il tempo di una sigaretta prima della partenza e montiamo sul bus. Non è la prima volta che prendo il Flixbus, in genere i viaggi che faccio son di giorno, ma contrariamente alla logica comune risulta alquanto scomodo. La prospettiva di passare tutta la durata del tragitto a dormire si riduce a un’ora scarsa e il resto del tempo trascorre nel dimenarsi sul sedile cercando una posizione adatta. A distanza di poche decine di minuti dall’arrivo fisso il monitor che segnala la temperatura, che scende scende fino a sotto lo zero. Nonostante io mi sia bardata per bene prima del viaggio, nei limiti a me possibili, perchè non dispongo che di un esiguo numero di capi invernali, incomincio a preoccuparmi e ad esser pervasa da un senso di inquietudine. Tutto ciò si concretizza non appena metto fuori il piede una volta giunta a destinazione. 

Si dice che l’Austria sia fredda, ma c’è un abisso rispetto al concetto di gelo che si acquisisce vivendo a Venezia. Quello pungente, quello che davanti alla fermata, di fronte alla stazione della cittadina, la Hauptbahnhof Villach, ti smonta ogni convinzione e mantra personali come “prediligi l’estetica a discapito della praticità”, e facendoti capire che la mia amica ha capitotutto dalla vita e non come me, che mi lascio trascinare dalle superficiali scelte in ambito d’abbigliamento. Mettendo da parte queste questioni e senza un itinerario preciso, o meglio senza un itinerario in generale, perchè non scherzo nell’usare aggettivi come frugale. Alle 4.30 di mattina non c’è in giro un’anima, a cui chiedere informazioni. Non c’è niente di meglio di informarsi tramite gli abitanti del posto, ma la stazione è pressoché deserta, fino a quando le tre Moire, della mitologia greca, che tessono le sorti del destino danno un taglio al nostro disorientamento decidono di farci un regalo: 2 poliziotti, ma non 2 uomini qualunque, 2 poliziotti italiani con un accento palesemente del sud. Da parte nostra c’è sgomento, ma anche loro son basiti quanto noi, perchè proprio nel cuore della notte di novembre incontrano 2 turiste italiane che ti domandano se ci sono attività da fare o luoghi aperti in una città di neanche 60 mila abitanti in mezzo ai monti quasi. 

Ci consigliano di entrare dentro la stazione e ci annunciano una lietissima novella che suona come “la signora del bar sta aprendo e sta infornando”. Ci rifugiamo lì,ordiniamo un caffè senza troppe precisazioni e una fetta di torta al cioccolato simil-Sacher ciascuna, con l’idea provvisoria di fare colazione. Un questo momento del viaggio sento quel senso di italianità emergere. L’italiano medio va all’estero con la consapevolezza che il suo caffè è migliore e malgrado questo beve quello della terra straniera, commentando negativamente con amici/parenti/morosi/gatti e chiunque abbia in mente il prototipo italiano. Con tono stizzito lo manderà giù e nasconderà la sua vera opinione nel momento in cui chi glielo ha servito chiede un parere, mentendo spudoratamente. Un motivo sensato c’è? No, è una semplice lamentela fine a sé stessaincorniciata da snobbismo e una dipendenza da caffeina. Torta deliziosa, impastata forse dagli angeli, ma una colazione che va dai 7-8€ a testa la chiamo furto.

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Dopo un’oretta circa ci dirigiamo verso la città e la prima piazza che incontriamo è la Nikolaiplatze. Il tempo di prendere in mano la macchina fotografica e capacitarsi della propria fortuna, le pile scariche che la mettono fuori uso e ti fanno portare sulle spalle un fardello, per ricordarti che la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo, perciò ci accontentiamo dei nostri cellulari, così piccoli, pratici e soprattutto fedeli. 

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Ci guardiamo nei paraggi, avviandoci verso il cuore della città, quando ci imbattiamo nel canale Drava che attraversa la città, Drau Rast, ove passeggiamo per un po’ e dove vediamo sorgere l’alba e ciliegina sulla torta poetica, le anatre che nuotano allegramente nell’acqua, le quali costituiscono un argomento di discussioneprofonda per tutta la giornata. Finito lo spettacolo vaghiamo un po’ e vediamo la città svegliarsi poco a poco verso le 7, chi fa jogging, chi va al lavoro e chi incomincia ad aprire qualche locale. Se le anatre non son a sufficienza, veniamo rallegrate da un altro incontro fortuito, degli ubriaconi di mezza età (probabilmente residui dalla sera prima) nel parcheggio dietro il parco vicino al Park Cafe, che non appena capiscono che non siamo del luogo, ci dicono “Benvenute a Villach!” (Wilkommen aus Villach) con un sorriso che scioglierebbe ogni cuore. Oltre a loro, incominciamo a vedere un numero sempre più consistente di scolari, dall’elementari alle superiori che si recano a piedi per andare a lezione, nessuno accompagnato da genitori e quant’altro.

Verso le 8 la fame sopraggiunge di nuovo e ritorniamo nella zona del canale, scegliendo di fare una seconda colazione e di mettere giù una bozza per il nostro tour, presso il Cafe Konditorei Bernold, dove mangiamo una Nuss-Torte e una Frucht-torte, per gli amici che non parlano tedesco (tra cui la sottoscritta) una torta alle noci e una alla frutta, però questa volta scegliamo con cura il caffè, confrontando le varie differenze meticolosamente e giungendo alla conclusione decisiva di un Kleinen Brauner. Trattasi di una varietà consumata in loco, che senza pregiudizi descriverei come bevibile, ma pensando ai canoni lo definirei come qualcosa di annacquato, nonostante le sue piccole dimensioni.  

Come prima tappa scegliamo di andare alla chiesa di St Jakob, St Jakob kirche, famosa per il suo campanile ove dall'alto è possibile ammirare il panorama di tutta Villach. Le nostre mediocri qualità in fatto di lingua tedesca ci portano soltanto a tradurre i giorni della settimana senza capirne il vero motivo della sua chiusura, ebbene si, primo obiettivo fallito. Visitiamo l’interno della chiesa, non troppo sfarzosa come quelle del bel paese, ma comunque maestosa, con quel retrogusto austero tipico di quelle austriache. Ci troviamo sulla via 10-Oktober-strasse, che parte dal Drava e termina al Stadtpark, zona caratterizzata da molti spazi verdi e dove sorge un’ altra chiesa, la Evangelische Pfarrgemeinde, molto apprezzabile dal punto di vista architettonico e particolarmente esaltata dal colore della flora nei dintorni.

Il resto della strada contiene negozietti e bar, ma niente a che fare con souvenir o chincaglierie senza senso. Tutto rispecchia il gusto austriaco e non quello del turista, a maggior ragione, se state cercando qualcosa di autentico senza contaminazioni inusuali, Villach fa per voi!

Se non è andata bene una volta, sarà il turno di quella successiva, infatti dopo qualche informazione ottenuta con fatica dalla mia coinquilina e il suo livello a2 in tedesco arriviamo a un’altra tappa, il museo di Villach, Museum der Stadt Villach. Finalmente entriamo, non sembra vero, e incontriamo una ragazza che lavora al suo interno, la faccia di qualcuno che darà una svolta alla tua giornata. Incuriosita, ci chiede come può aiutarci e noi ci mostriamo interessate a vedere il posto. Ecco la rivelazione: lei ci farà da guida nel museo gratuitamente? NO, il museo rimane aperto dall’inizio della primavera fino alla fine di ottobre, ergo siamo in ritardo di qualche giorno. In compenso ci augura una buona giornata.

Ci allontaniamo un po’ dal centro, imbattendoci in un supermercato, che non citerò, ma posso dire che è presente anche in Veneto, col quale la differenza di prezzi è quasi nulla. La varietà sta nella proposta e ci carichiamo di birre, dolci (tra cui il Gugelhumpf (che fatico a pronunciare) e salumi. Tra le perle presenti sugli scaffali troviamo dei ravioli in latta, ossia qualcosa di scioccante per un nostro connazionale qualsiasi o un pasto stellato per un qualunque fuori sede, nazionalità a parte. Le commesse, come anche la gente incontrata sino a questo momento non mostrano difficoltà nel parlare inglese, ma specie al supermercato. D'altro canto, in caso di incomprensioni è fattibilissimo fare scena muta, dato che il pagamento in cassa che abbiamo svolto noi consiste nel guardare semplicemente l’importo sul monitor, pagando e ricevendo il resto con semplice scambio di sguardi.

In preda alla fame ritorniamo nelle zone più popolate, cercando un ristorante che concili i gusti della mia amica, che purtroppo non digerisce la carne. Una ricerca simile in Austria equivale a cercare un ago in un pagliaio.

In linea generale, i ristoranti del luogo non offrono un'ampia scelta di portate, ma si limitano a qualche piatto della giornata, prediligendo la freschezza della pietanza, ma ahinoi, la cucina austriaca non è di certo famosa per la sua natura vegetariana. Ad ogni modo entriamo in svariati locali, ma il massimo che offrono sono contorni di verdure e campare fino a sera non è facile. Fattore positivo è che i ristoratori e il personale non si fanno problemi nell'indicarci luoghi adatti alle nostre richieste, mandandoci in pratica a mangiare da qualche loro concorrente, tanto di cappello per l'onore di questo gesto. Ci rechiamo nei posti consigliati, ma le opzioni riguardano cibi pressoché italiani. Il connubio di tradizione e senza carne, giunge nel momento in cui vaghiamo senza una meta, imbattendoci nel ristorante Kaufmann&Kaufmann, un pochino nascosto. La scoperta della giornata mette d'accordo tutti, vegani, vegetariani e onnivori senza troppi fronzoli con l'aiuto e le raccomandazioni di un personale che non parla solo tedesco, ma anche italiano, francese e inglese. Ci accomodiamo e ci offrono antipasti, pane di diverse tipologie e creme spalmabili salate, mentre aspettiamo la nostra ordinazione. Da bere, scegliamo succo di quitten, descritto da loro come un frutto a forma di un grande limone che cresce solo in quelle parti, stando alla gentilissima cameriera che ci serve, e su internet, viene tradotto con un sostantivo accompagnato dall'aggettivo "cotogno".

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La fine del mondo. A me arriva una portata di ravioli giganti con un ripieno di carne, patate e speck con un contorno di crauti e il tutto condito con un quintale di burro e la mia amica riceve lo stesso, ma con all'interno spinaci e formaggio. Ogni morso ti fa sentire vicino al paradiso e ti porta a un senso di sazietà che ti fa rotolare nelle ore successive. Il costo di tutto ciò, tenendo in conto del locale e la qualità del cibo, è a dir poco onesto, 17 € circa a persona, oltre a regalarci delle caramelle gelé della casa.

Successivamente ci dirigiamo altrove e presso la Hans-Gasser-Platz troviamo un allegro mercatino di paese, con ogni sorta di cibo, dal km 0 al biologico, dalla panetteria alla carne e facciamo un giro per qualche negozio. Scopriamo dell’esistenza di un bus che conduce alle terme, ma il nostro senso mancato dell’orientamento ci tiene dal non rischiare. Vaghiamo senza sosta col freddo e il gelo, nonostante il pomeriggio sia l’orario più caldo della giornata, ci rintaniamo in un bar, dall’aspetto molto sofisticato, ordiniamo l’ennesimo caffè, pare essere Illy, ma non soddisfa pienamente, perché non ha l’effetto sperato. La sonnolenza, il freddo e la pienezza del pranzo, mi fa deporre le armi e addormentare per un’ora abbondante sul tavolino in cui ci siamo sedute. Al mio risveglio fuori è buio e levare le tende, dopo sguardi con fare cagnesco della gente, uscire è la soluzione migliore. 

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Se c’è una cosa che non abbiamo sbagliato e che abbiamo azzeccato sicuramente è la scelta del pub, il Turmstüberl, che risulta esser uguale alla descrizione, ovvero un covo di austriaci di mezza età che se la spassano bevendo birra dopo il lavoro, e che birra. 

Villacher Haus Biere è la parola magica, servita dal proprietario, un uomo sulla cinquantina molto solare, al quale chiediamo gentilmente di portarci qualche cosa da spizzicare, che ci conferma, o meglio mi conferma, che nello Stato in cui ci troviamo non si scherza con la salumeria. Benchè uno si aspetti un arredamento rustico e una cucina cherispecchi l’essenza del locale, le decorazioni poste sul mio piatto rendono il tutto più grazioso al palato, e ammetto di essermi mangiata i fiorellini tra una fetta di formaggio e prosciutto.

A malincuore, la mia amica si accontenta di un toast al formaggio, perchè tutto nel menu, senza se e ma, contiene carne. Oltre a questo, giungo alla fatidica scoperta di poter fumare al chiuso. Con questo freddo è un toccasana e venendo da un paese in cui è severamente proibito farlo, ove in caso contrario si incorrerebbe in sanzioni. Verso le 22 il locale straripa di gente, ma non veniamo cacciate vie, anche se siamo lì da ore, scoraggiate dalla temperatura esterna. Nessuno attacca briga con noi, dato che siamo le uniche che non c’entrano in quel posto, a maggior ragione non siamo in grado di far una conversazione nella loro lingua. Dopo tanta presa di coscienza, cappotto e un ultimo saluto spassionato al calorifero, percorriamo la strada di ritorno verso la stazione, e benché non sia ancora mezzanotte, non c’è anima viva per le strade. Tutto ritorna come all’inizio. Aspettando nella stazione il pullman per Venezia Mestre, nella sala d’aspetto, l’unica che pare riscaldata, in compagnia di qualche senzatetto. All’una e mezza di notte salutiamo la città, sperando prima o poi di rivederla in futuro, sfruttando di più le attrazioni, e con la speranza di un clima meno ostile,  per poter fare qualche escursione tra le montagne e tra i pascoli, ma anche con la voglia di imparare una nuova lingua. Per quanto improvvisata è l’esperienza, posso affermare con certezza di aver approfondito le mie conoscenze linguistiche, grazie a insegne, pubblicità e listini di ristoranti, oltre ad acquisire qualche marcia in più, di spirito di adattamento e sopravvivenza, oserei dire. 


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