Pra Rodont-parte 2
Eravamo rimasti alla più tragica conclusione di una gita finita male, anche se sotto i riflettori della scena nazionale, tra catene di lutto sui social e dediche commemorativi, ma questo filmino mentale si interrompe magicamente con la comparsa di una coppia di escursionisti tedeschi sulla settantina, che mischiando italiano, tedesco e inglese, rispondono ai miei quesiti carichi di preoccupazione, rassicurando come farebbe chiunque nel provare pena davanti allo spettacolo pietoso che emana il mio viso sopraffatto dalla stanchezza. Ad una certa improvvisamente la profezia della sagoma a freccia dei cartelli si concretizza davanti ai miei occhi. L'incantesimo dura finché non mi avvicino, essendo miope, e sempre più da vicino si materializza il peggio: la segnaletica per un rifugio a tre ore e quaranta minuti di distanza, tale XII Apostoli. Il problema principale è che il rifugio c'è, si vede, ma non si sa raggiungerlo. Il sentiero continua a essere uno, con quel poco campo del telefono, metto in moto il navigatore che non fa altro che peggiorare la situazione, un tragitto verso Doss del Sabion, la meta stabilita, di tre ore e cinquanta. Tornare indietro e gettare la spugna non mi va, stringo i denti e vado avanti, a costo di arrivare alla fine e concludere scendendo con l'impianto della cabinovia e mangiare a valle, visto che l'ultima corsa è alle cinque del pomeriggio. Dopo un po' di tempo, la mia modalità ansia mi sprona a tampinare un'altra coppia di malcapitati sul sentiero, stavolta italiani, che capiscono dal mio volto, come se avessi scritto in fronte "pivella alle prime armi col trekking", il mio sconforto misto a un pessimismo cosmico leopardiano, come se stessi sperimentando le pene dell'inferno. Sia chiaro, voglio incentivare la gente a mettersi alla prova, sperando che non si butti giù o che non si ritrovi in situazioni apocalittiche o catastrofiche oppure esilarant, magari non sto riuscendo nell'intento come vorrei. Mi spronano ad andare avanti, promettendomi (un'altra volta) la presenza di altri cartelli, indicando il sentiero, e una strada più chiara. Passando di fianco a qualche baita deserta e a qualche altro escursionista, che non ho più importunato in maniera melensa, abbiamo l'ennesima prova del nove, che si rivela finalmente positiva. Indicazioni per ogni dove e anche per il tanto atteso e desiderato rifugio a solo un'ora e mezza di distanza.
Riprendendo il passo alle 13,45 presso il passo Bregn de l'Ors, incrocio fondamentale stando a quanto visto e riportato dall'immagine. Ivi è anche presente una cappella religiosa, che da lontano pare essere più una fonte d'acqua sorgiva, essendo incavata nella roccia. Le buone notizie fomentano incalzando la velocità, facendo sul serio, lasciando da parte le pause, come la pausa acqua, la pausa foto di Instagram o foto generica, la pausa della disperazione e la pausa, quella semplice, quella con la P maiuscola. Ad ogni modo, tra distese di valli e distese d'acqua, ma soprattutto sfumature di colore del cielo poste in contrasto con la voluminosità modulata delle montagne e le sue vette, brucio gli ultimi metri vedendo il traguardo. Intendiamoci, il mio velocizzare il passo non consiste nella gara dei 100 metri fatta da Usain Bolt, tenendo conto che sono ben 8 anni che non mi cimento in un'attività del genere. All'alba delle tre meno dieci di pomeriggio sono al calduccio, al riparo dai 9 gradi centigradi esterni, anche se impercettibili con tutto il movimento fisico svolto e la voglia di mettersi in bikini è alle stelle. La cameriera in un primo momento mi fa prendere dal panico con un simpatico "buongiorno, non so se la cucina è ancora aperta!", ma alla fine riesco a pranzare, con una deliziosa portata di rosti di patate, fasoi (fagioli e cipolla in un sugo di carne) e carne salada (bistecche sottili e speziate), insomma una combo di gastronomia trentina piena di calorie, della serie viva la dieta.
Faccio fatica a finire tutto, è davvero tutto buono, ma incredibilmente sostanzioso. Benché abbia terminato da poco una sfacchinata coi fiocchi, la porzione è quantitativamente esuberante. Il locale è il tipico rifugio di montagna, né più né meno, con dei prezzi alquanto onesti e vanta di un personale giovane e alla mano. Dopo del relax, e prendendo alla fine la vita con calma, alle 4 e mezza sono in discesa sulla seggiovia che conduce al rifugio iniziale, in quanto non continuativa.
La vista è come sempre mozzafiato e da cartolina, tra le montagne e persone che fanno parapendio, ma se soffrite di vertigini, questo può rappresentare il vostro incubo peggiore. Non voglio essere spavalda, ma anche io ho avvertito quella sensazione di vuoto, però ha un retrogusto di un non so che di accattivante. Da Prà Rodont ritorno di nuovo al punto di partenza, Pinzolo, per poi arrivare all'albergo di Carisolo e addormentarmi in un sonno profondo, che sarebbe stato profondissimo, se non fosse stato per lo stomaco vuoto che ha la capacità di buttarmi letteralmente giù dal letto. Con la stanchezza a farla da padrone, non mi spingo alla scoperta di nuovi posti andando chissà dove. Pertanto la cara e accogliente locanda "la Briciola", presso Pinzolo, dove l'amaro è sempre offerto e non si sputa sulla mano che ti dà da bere gratis. Per questa cena opto per dei succulenti tagliolini tipici della casa, a base di farina di funghi porcini e conditi con crostini al rosmarino, tacchino e funghi vari. Finalmente, agli sgoccioli della vacanza riesco a mangiare il dessert, perciò opto per un classico della zona, lo strudel di mele con salsa alla vaniglia caldo, e tanto di cappello per quest'ultima. Effettivamente dopo averlo visto in ogni modo possibile e ovunque, la campagna pubblicitaria ha fatto centro più che dignitosamente.
La giornata volge sfortunatamente al suo termine, impacchettando le valigie per la partenza del giorno seguente, con il desiderio di voler tornare al più presto.
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