Benvenuti in Puglia
Ore 20.15, Olbia
Per la prima volta dopo un mese di lavoro in aeroporto non sono la signorina seduta dietro al banco imbarchi ma solo la ragazza con la valigia che parte. Strano , vero? Però parto o almeno credo. No tranquilli parto e ve lo posso assicurare perchè quello che vi voglio raccontare è successo un mese e mezzo fa e io adesso sono ancora dietro il banco check in numero 20. che ore erano? Ah si, le 20.15 e la sottoscritta, inguaribile maldestra, camminava tra i gate dell'aeroporto di Olbia con un panino alla cotoletta gigante in mano, il famoso "Apollo", (che poi chissà perchè lo chiamano così, per lo scioglilingua forse? O solo perchè il nome del dio è formato da a più pollo? prima o poi chiederò) e nell'altra la fedelissima compagna di viaggio, la mia valigia rossa che a voi non dirà niente di speciale ma in tutti questi anni è sempre rimasta al mio fianco nonostante le mille botte prese a causa dei trasferimenti stiva-rullo e, soprattutto, la devo ringraziare per non essersi mai arresa e non essere mai esplosa dopo tutti i tentativi infiniti per cercare di riempirla e chiuderla con tutto l'armadio dentro. Ante comprese tanto per essere chiara. Ma bando alle ciance, arrivo finalmente davanti al gate dieci A e aspetto con tutta tranquillità l'inizio dell'imbarco: quando lavori in aeroporto e poi diventi passeggero smetti di essere così impaziente e insofferenze per l'attesa perchè sai quanto siano lunghe e pesanti tutte le procedure da compiere e poi si sa, un po' di pazienza non ha mai fatto male a nessuno. Ogni gate ha qualcosa di diverso, sapete? Dipende dai passeggeri ovviamente: ci sono i francesi del due che su un M80 di Meridiana stanno tornando a Parigi e percepisci un po' la nostalgia e un po' il sollievo che si ha quando si ritorma a casa; italiani al tre, spagnoli su Vueling al cinque, polacchi e cechi, ungheresi, al nove svedesi e danesi e beh, quando vedi loro non percepisci nessuna atmosfera ma perchè sei troppo impegnata a chiederti perchè madre natura sia stata così generosa con gli amici del nord e non con te. Poi c'è il dieci A, il mio, che sa di caciara, sale, supplì e sole. Sa di casa, sa di Roma. Finalmente torno a Roma dopo mesi e penso che in questo momento non avrei potuto chiedere di meglio anche se un po' la vita da check-in mi mancherà. Nah, prima bugia.
Passo il codice sotto il lettore, ringrazio la mia collega e salgo. Se non avessi il cartellino staff attaccato al collo dubito che qualucuno imaginerebbe di vedermi dietro ai gate in divisa, quando la gente scommette sulla mia età punta sempre sul sedici e non so ancora se lo faccia perchè è un numero fortunato o solo perchè la mia faccia ha deciso di giocarmi un brutto tiro. Sono seduta al 20A e di fianco a me non c'è nessuno almeno per una volta non darò spettacolo della mia faccia imbarazzante da addormentata sbausciante sul sedile. Solitudine inutile visto che sono rimasta sveglia per tutta la durata del viaggio a pensare a cose che ora non saprei nemmeno dirvi. Credo che il decollo sia la parte più bella di tutto il volo: alzarsi in volo ti dà una potente scossa di adrenalina e ti fa riflettere su quanto si sia impeganto l'uomo per ideare qualcosa di così geniale come il trasporto in volo ma ti fa anche pregare Dio in tutte le lingue del mondo affinchè non ti faccia precipotare. Non è quello che vorrei immaginare a ventun anni. Seconda bugia: una cosa che mi ricordo c'è, eccome se c'è ovvero il pianto incessante di una bambina seduta nella fila 27. Non so esattamente di cosa avesse paura ma in meno di cinque secondi ( non sto esagerando) è riuscita a trascinare con se il pianto di altri due poveri bambini innocenti nelle file anteriori: è come l'effetto domino, inizia uno e subito tutti gli altri bambini, come stregati, si sentono in obbligo di seguirlo. Una sola parola: traumatico.
Decollo. Roma, sono a casa. Eh no, perchè il karma, che sa delle tue silenziose lamentale contro i bambini, ha deciso che scendere non sarà così facile e pensa bene di bloccare il portellone anteriore, unica via di salvezza dai pianti isterici, per ben 15 minuti. Dico io, 15 minuti. Ma è legale? Quando metto piede sulla terra ferma sento ancora l'eco dei singhiozzi dei bambini (ma che polmoni hanno?!!?) e per un attimo penso di baciare la terra come il papa per essere arrivata sana e salva, almeno fisicamente. Portarsi la valigia da stiva non è mai la scelta giusta specialmente se atterri in un aeroporto immenso come Fiumicino che, nel giro di cinque minuti, deve restituire pù di 5000 bagagli in contemporanea. Non ti resta che pregare che il tuo sia tra quelli e, per fortuna, valigia rossa non mancava all'appello. Agli arrivi trovo Lorenzo, il mio ragazzo, la prima visione celestiale seconda solo alla vista della scaletta dopo l'apertura del portellone (non diteglielo o si monta la testa), lo saluto e andiamo a recuperare il "super bolide" parcheggiato al T2: vi parlerò tra poco di questo terzo personaggio. Ma la domanda è: perchè sono a Roma? Risposta: finalmente si va in vacanza, destinazione Puglia.
Quindi dall'aereo andiamo direttamente a Domenica mattina, ore 6.30, partenza da Roma E.U.R con preparazione psicologica a livelli mai visti pronti per affrontare il viaggio della speranza. Durata: 5 ore, contando una sola pausa. Altamente sconsigliato bere tanta acqua perchè la vescica potrebbe non assistervi in quest'impresa.
Il bolide che ci accompagnerà è una mitica Fiat Bravo del millenovecento e non so quando che in quanto a sicurezza è del tutto discutibile ma vi posso assicurare che non deluderà le vostre aspettative e se qualcuno dovesse propormi lo stesso viaggio a bordo di un suv vi assicuro che rifiuterei perchè certi viaggi hanno dei comandamenti da rispettare e la macchina scassata è il primo di questi. Il viaggio procede alla grande e partire di domenica non poteva essere una scelta migliore: fine giugno, tutti al mare e nessuno sulle strade, un paradiso insomma. Momento meno paradisiaco forse per Lorenzo visto e considerato che ho passato tre ore di viaggio cantando a sqaurciagola tutti i testi possibili e immaginabili (la macchina è un po' la mia doccia, che ci posso fare). La cosa che mi piace di più in assoluto dei viaggi in macchina è il tempo libero che hai da occupare in tutti i modi possibili e immaginabili e quindi inizi a giocare a una versione inventata di nomi cosa e città, a "c'era un bastimento carico di..." e a tutti i giochi che ti vengono in mente in quel momento per ammazzare il tempo. La prima regola? Barare. Se riesci a distrarre il giocatore alla guida hai la vittoria assicurata e quindi inutile dire che la sottoscritta straccia il fidanzato al volante per infinite vittorie a zero (la classe non è acqua, si sa). Continuiamo così per ore, tra risate, regioni che si danno il cambio e paesaggi che scorrono velocissimi sotto i miei occhi attenti e affascinati distratti solo da un'insegna rosso fuoco: autogrill. Paradiso all'improvviso.
Esco dalle porte del paradiso con il mio ennesimo e adorato Apollo in mano, diventato ormai una droga, e do il cambio alla guida a Lorenzo che, per fortuna si addormenta e mi conferma vincitrice indiscssa dei giochi da macchina. Dopo due ore di macchina affiancata dalle infallibili mappe dell'Iphone che non tradiscono nemmeno in mezzo alle super strada 16 bis, esulto per la felicità e lo sveglio: un cartello.
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