Un anno dopo: Breve sintesi di un grande Viaggio.
31 marzo 2016. 5:00.
E’ finito tutto, si torna a casa. Dovrei essere felice, eppure c’è una strana malinconia che non mi ha fatto dormire la notte. Può la nostalgia venire ancora prima di lasciare qualcosa? Dopo quella notte credo di sì.
Tutto ormai è pronto. La stanza vuota, pulita e ordinata come al momento d’arrivo. Nulla sembrava cambiato durante i 6 mesi in quella stanza, a parte me.
Mentre raccoglievo le ultime cose, riaffioravano i ricordi, la voglia di partire diminuiva, ma era giunto il momento di lasciare spazio agli altri, è importante che altri giovani (e non solo) provino ciò che ho avuto l’opportunità di vivere io in quei mesi.
Da qualche parte ho letto che quando parti in Erasmus piangi due volte, quando lasci casa e quando ci torni. Non posso che confermare.
Tuttavia sono lacrime diverse, le prime sono lacrime di paura, di ansia, non si sa cosa ci aspetta dall’altra parte, le seconde invece sono lacrime di nostalgia. Nostalgia per le persone conosciute, per quelle che si sarebbero potute conoscere, per i luoghi visitati e per quelli ancora da visitare, per i “mondi nuovi” che abbiamo scoperto in ogni persona di cultura diversa dalla nostra, per l’apertura mentale della generazione Erasmus che non vede nell’altro una minaccia, ma un amico in più.
Dalla stazione di Augsburg all’aeroporto di Stuttgart impiegammo circa 3 ore. Le passai piangendo, senza spiccicare una parola.
Sapevo che al mio ritorno nessuno avrebbe capito cosa avesse significato per me l’Erasmus, nessuno avrebbe capito quanto io fossi cambiata, e quanto ne fossi fiera.
Non si può tornare indietro alla “vecchia vita” come se nulla fosse successo, come se fosse stato un semplice viaggio. No, non si può, perché l’Erasmus per noi che l’abbiamo vissuto è stato molto di più che un periodo di studio all’estero, è stato amicizia, paure, responsabilità, autosufficienza, supporto, collaborazione, apertura mentale.
Durante quelle 3 ore ripercorsi con la mente tutto il mio viaggio, dal primo all’ultimo giorno.
Il primo ricordo che mi venne in mente fu l’incontro per studenti Erasmus, a cui io, per non smentire il pregiudizio sulla “puntualità” italiana, fui costretta ad arrivare in ritardo a causa del ritardo del volo.
Con grande imbarazzo, chiesi scusa per il ritardo e andai a sedermi. L’aula conteneva all’incirca 30-40 ragazzi, ognuno proveniente da una nazione diversa, la cosa iniziava ad affascinarmi.
Prima del mio arrivo avevano iniziato a fare delle brevi presentazioni personali; mentre ognuno di loro parlava, io giocavo nella mia testa a riconoscere la nazionalità dal volto, dal modo di parlare, dai gesti, dal modo di presentarsi.
Italiani, inglesi, francesi, irlandesi, spagnoli, o meglio Europei, asiatici, africani, americani, giovani rappresentanti di quasi ogni continente tutti raccolti in un’aula universitaria che a paragone appariva troppo piccola per ospitare quel crogiolo di culture.
La ragazza che teneva l’incontro ci spiegò il significato della sigla ERASMUS: European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, ci spiegò anche che il nome fu scelto in onore di Erasmo da Rotterdam, il quale viaggiò in diversi paesi d’Europa per comprenderne le differenti culture.
Chissà quanto l’avrebbe aiutato un progetto come l’Erasmus nei suoi studi, ogni giorno avrebbe potuto avere a che fare con una cultura diversa, anzi ogni giorno con più culture contemporaneamente. Chissà quante differenze avrebbe scoperto in poco tempo!
In quei 6 mesi mi sono sentita un po’ come Erasmo, ogni giorno esploravo una nuova cultura, un nuovo modo di fare, di pensare, di essere, che metteva in discussione i miei preconcetti. Tutto ciò che credevo fosse normale, che davo per scontato, crollava quanto più conoscevo l’altro. Mi resi conto dei pregiudizi che affollavano la mia mente prima di quel viaggio, e di quanto fossi convinta che il mio modo di fare le cose fosse quello giusto.
Giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, abbattevo quella che chiamano barriera culturale, che è considerata la cause di tante incomprensioni, malintesi, o nei casi più estremi di odio.
Dopo quel primo incontro iniziammo a parlare, conoscerci e da lì a poco successe qualcosa di strano, un gruppo sempre più eterogeneo si veniva a creare, senza che nemmeno ci rendessimo conto della bellezza di ciò che stava accadendo.
Un gruppo di ragazzi provenienti da paesi o addirittura continenti differenti si stava avvicinando sempre di più, i pregiudizi lasciavano spazio alla curiosità sull’altro, la differenza culturale si trasformava in oggetto di discussione, confronto e spesso risate.
Chi salutava con due baci, chi con tre, chi trovava assurdo tutto ciò e preferiva un leggero cenno della mano. Tutto iniziava da questi piccoli confronti, e col tempo abbiamo trasformato le differenze che ci dividevano in qualcosa che ci legava.
Ognuno era diverso, ed era questo il bello! C’era sempre qualcosa di nuovo da apprendere, qualche curiosità da scoprire, qualche tradizione da capire.
Sembrava non avessimo nulla in comune: lingua, cultura, tradizioni, usanze, religione, tutto diverso! Eppure andavamo tutti d’accordo, si usciva insieme, si studiava insieme, si scherzava, ci si supportava a vicenda, soprattutto nel primo periodo in cui eravamo un po’ tutti disorientati, un po’ per le procedure burocratiche interminabili, un po’ per le difficoltà di adattarsi al nuovo ambiente, alle nuove amicizie e alle nuove responsabilità.
Tutto ciò può essere riassunto in una parola: AMICIZIA. Ed è proprio Lei uno dei tasselli fondamentali dell’Erasmus, senza di lei nulla sarebbe stato lo stesso. Amicizia senza confini, amicizia che non si curava del colore o della nazione, semplice amicizia tra persone che condividevano la stessa voglia di divertirsi, esplorare e crescere attraverso tutto ciò.
Un altro ricordo che mi viene subito in mente se ripenso al mio Erasmus sono sicuramente i viaggi.
Nella mi stanzetta ad Augsburg avevo appeso tante cartoline trovate qua e là per i locali tedeschi, la mia preferita era una trovata all’Università che diceva “Move, explore, be a gobal citizen”. Ancora oggi la tengo appesa nella porta della mia stanza qui in Sicilia, per ricordarmi dei tanti viaggi fatti in quei 6 mesi.
In effetti ogni weekend eravamo soliti organizzare una gita, ed è così che siamo passati da Monaco a Ulm, da Salisburgo allo splendido castello di Neuschwanstein, da Berlino a Vienna, da Bratislava a Budapest.
Eravamo sempre lì pronti a scovare l’ultima offerta per poter conciliare la nostra voglia di esplorare e il nostro budget limitato.
Spesso partivamo con poche ore di sonno a causa delle feste della sera precedente, ma noi non volevamo rinunciare a nulla, volevamo goderci a pieno quei mesi.
Le FESTE, altro elemento fondamentale dell’Erasmus, fai più feste in quel periodo che in tutto il resto della tua vita credo, pre-party, wohnheimparty, houseparty, halloweenparty, tramparty, beerparty, c’era sempre un buon motivo per festeggiare e per stare assieme.
Ovviamente oltre a tutto ciò, l’Erasmus ha anche avuto i suoi lati tortuosi, soprattutto durante le prime settimane, in cui tutto ci appariva avverso e insormontabile. Tuttavia non voglio concentrarmi sulla parte negativa, perché se messa a confronto con la bellezza di ciò che mi ha lasciato quest’esperienza, è valsa la pena di affrontare tutti gli ostacoli che si sono posti davanti.
Oggi a distanza di un anno dalla partenza, se dovessi decidere quale sia la cosa più bella che dona l’Erasmus direi che è la consapevolezza di essere cresciuti, personalmente e culturalmente, l’allargamento dei propri orizzonti, l’autosufficienza, il sapersela cavare da soli in diversi contesti, la capacità di integrarsi e la voglia di far integrare gli altri, il coraggio di aprirsi a nuove esperienze, e quindi il coraggio di staccarsi da quel nido che ci trasmette sicurezza e tranquillità, ma che d’altro canto ci preclude un universo di esperienze nuove, sensazioni sconosciute e luoghi inesplorati.
Beh’ avrei voluto raccontare di più di questo viaggio, l’avrei voluto raccontare meglio, ed ho provato tante volte a scrivere qualcosa di decente che potesse riportare a parole tale esperienza, ma per quanto mi potessi sforzare di combinare le parole, non rendevo mai a pieno ciò che era stato l’Erasmus. Così mi sono resa conto che certe esperienze, certe emozioni, sono troppo intense, troppo imponenti da star strette in poche righe, ed è per questo che oggi sono dell’idea che tutto ciò più che raccontato…va vissuto.
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