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Civita: la città che muore

Pubblicato da flag- Giulia Bonsignore — 4 anni fa

0 Tags: flag-it Esperienze Erasmus Viterbo, Viterbo, Italia


Tra le peripezie che ci hanno portato in giro per l'Italia, credo valga la pena parlare di quando abbiamo deciso di allungare il nostro ritorno a casa dalla Toscana, passando per una gemma tutta italiana; una città unica non solo nella nostra nazione ma forse in tutto il mondo, con epigoni ben noti (il Mont Saint-Michel si avvicina dal punto di vista dell'accessibilità limitata) e in evoluzione continua. Per quanto deleteria: siamo andati infatti a visitare Civita di Bagnoregio, meglio conosciuta come "la città che muore", in provincia di Viterbo. È a una mezz'oretta o meno dall'autostrada che unisce Roma con Firenze. La cittadina si trova nella zona dei calanchi, che sono formazioni rocciose che subiscono un continuo processo di deterioramento a causa dello scivolamento dell'acqua sulla propria superfice. Essendo per la maggior parte brulle, queste formazioni non sono protette dall'effetto di scavo dell'acqua e subiscono processi di degradazione tanto rapidi quanto inarrestabili. Per questo, Civita, sospesa nel mezzo di una valle tale, si erge ancora con la sola forza, pare, delle ultime persone che vi abitano.

Avendo visto un servizio in televisione che parlava della storia della città, e dell'appello al Ministero dei Beni Culturali perchè si programmasse un finanziamento adatto al mantenimento di un'area tanto affascinante, avevo imparato che in effetti poco più di dieci persone, all'incirca, vive ad oggi nella città in pianta stabile; per il resto tutti hanno deciso di partire o di spostarsi in zone probabilmente più sicure e meno soggette a frane e smottamenti. Durante la nostra visita avremmo avuto ulteriore conferma di questo nel fatto che, ad ogni crocicchio, campeggiavano a chiare lettere in stampatello i cartelli con scritto "vendesi" su molte case vuote. I prezzi, tra l'altro, erano stracciati, ma a tutto c'è un motivo, e ora spiegherò meglio anche questo.

Siamo arrivati a mattina inoltrata, verso le undici. Per giungere all'accesso vero e proprio alla città è necessario percorrere strade provinciali che si inerpicano su per colline e montagne, e (appunto) calanchi e altre zone franose. Trovarsi dietro ad un trattore in un punto qualsiasi della strada vuol dire morte certa, nel senso di una velocità media di 10 km orari e nessuna possibilità di sorpasso. Lungo il tragitto, comunque, si può vedere già in lontanza il massiccio roccioso solitario che ospita la città. Ci siamo fermati per ammirarlo meglio nella città più vicina, Lubriano, in cui una chiesa gialla accecava nella luce azzurra dell'estate.

Civita: la città che muore La vista di Civita dai pressi di Lubriano e Bagnoregio.

Si poteva notare già da allora come, in alcuni punti, pareva le case fossero lì per cadere; un albero, poi, all'estremità Nord della città, era appeso solamente per le radici alla parete rocciosa e affacciato su almeno quaranta metri di sprofondo. Sotto di lui, le altre piante se preparavano a fare rete con i propri rami, che prima o poi si sarebbe certamente buttato. Tornati in macchina, siamo giunti a Bagnoregio. Attraverso la città si arriva ai piazzali e agli spazi adibiti appositamente per accogliere i turisti che vengono a visitare, finchè c'è tempo, questa triste meraviglia, temporanea coesione di natura ed artificio umano. Il parcheggio costicchia: noi ci abbiamo lasciato circa 5 euro, ma 4-5 ore bastano per aver tempo di godersi con calma la città, fare foto, imparare un po' di storia, e quindi è un sacrificio che si può comunque fare. Il problema più grande è piuttosto che i parcheggi non sono protetti, e quindi al ritorno abbiamo trovato la macchina in condizioni simili ad una sauna finlandese. Procedendo dal parcheggio, si arriva ad un bar ristorante, il "Belvedere", che gode di una vista privilegiata sulla rampa d'accesso alla città, e sulla città stessa. Non l'abbiamo provato, ma occupando l'area ha anche un giardinetto e, appunto, un belvedere abbastanza particolare da cui godere del panorama. Da qui si giunge, scendendo lungo una discesa asfaltata o alcune scale in pietra, fino ad arrivare alla biglietteria per la città. Quest'ultima risponde al fabbisogno economico essenziale per la tutela, per quanto possibile, del monumento intero; la decisione di creare un biglietto di ingresso è stata data dal fatto che i fondi nazionali e locali non bastavano a rispondere alle esigenze restaurative e conservative, ed è dunque, a mio parere, più che giustificabile. Inoltre, il biglietto intero costa 1, 50 euro, quindi nessuno avrà problemi nel non potersi permettere un giro per la città che muore. Molte categorie di persone entrano anche gratuitamente (ma per maggiori informazioni, rinvio al sito ufficiale dell'ente di promozione della Tuscia). Una volta acquistato il biglietto, si accede alla città tramite un lungo ponte di ferro, abbastanza ampio perchè sia possibile anche il passaggio di macchine (di taglia, comunque, ridotta).

L'accesso a Civita è possibile tramite il lungo ponte di ferro che attraversa la Valle dei Calanchi.

Con la città sullo sfondo, anche noi non abbiamo resistito alla tentazione di fare una foto che immortalasse la nostra visita, mentre accanto a noi passavano turisti e residenti.

Civita: la città che muore Eccoci qui!

Due cose ho notato nel frattempo: la prima era che, appunto, i residenti avevano accesso con le loro automobili alla città, perchè ovviamente si doveva rispondere alle loro necessità basilari come l'acquisto di generi alimentari (e per lo stesso motivo, anche i ristoranti potevano usufruire di un servizio di trasporto); la seconda è che la maggior parte delle persone attorno a noi non erano italiani, ma stranieri, attirati forse da pubblicità dell'ente turistico nazionale, o forse portati lì grazie all'ausilio di qualche tour operator che abbia voluto sfruttare la bellezza e la relativa scarsa conoscenza del luogo. Tra gli italiani, i nostri connazionali erano così molti meno dei turisti stranieri, come se noi non fossimo in grado di reputare in giusta misura un tale patrimonio, o forse sottovalutandone la natura temporanea che porterà, un giorno o l'altro, l'intero monte a venire inghiottito dalla pioggia.

Siamo arrivati di fronte alla grande porta in pietra che regola l'accesso alla cittadina. Alle nostre spalle, la valle, già lontana, rinverdiva sotto il sole di giugno, ancora non abbastanza caldo da bruciare le piante ed ingiallire arbusti e foglie. Sormontante la porta, un grifone, od un leone, raccontava una storia abbastanza cruenta su un sacco della città o qualche decapitazione, ma non ricordo molto. All'interno, la città è davvero minuscola, e la sua bellezza sta un poco in questo e un poco nel fatto che ricordi molto quei paesi costruiti, praticamente, in pietra e fiori con i viottoli di acciottolato, il tufo che si sbriciola sotto le mani e lascia quella polvere gialla ed odorosa che ricorda un po' il polline. Nel mezzo della piazza principale, una comitiva di artisti (o almeno questo sembravano), stava seduta su una fila di sgabellini a prendere le misure della chiesa, in modo da replicarla nei propri taccuini. Alcuni erano già al lavoro e con pochi tratti avevano evidenziato la geometria decisa ed antica dell'edificio, che ricorda un poco la Basilica di Santa Maria Novella di Firenze, senza però il marmo né la pietra serena. Alla nostra destra, un museo anticipava racconti della storia della città e manufatti di guerra, ma non ci siamo fermati, era più interessati il piacere visivo della passeggiata per il borgo.

Essendo ora di pranzo, ci siamo allora decisi a fermarci in un posticino verso la parte posteriore di Civita. Mi padre lo chiamava la Vecchia Macina, o qualcosa di simile, perchè si vantava di avere, in una grotta tipica dei primi insediamenti, un'antica macina per la spremitura dell'olio tutt'ora utilizzabile. Quel giorno, il tempo era troppo bello per rinchiudersi in una grotta, e siamo rimasti sui tavolini all'esterno, mangiando caprese, burrata e affettati tipici a prezzi più o meno onesti. Dopotutto, considerando la particolarità del luogo, era comprensibile che si pagasse un poco di più che sotto casa. Attorno a noi ronzavano le vespe, e i turisti passavano scorrazzando.

Dopo esserci alzati e aver dato un'occhiata all'interno del locale, abbiamo proseguito, per scendere fino alla sommità ultima di Civita, in cui si trova la Cappella della Madonna del Carcere. Qui, in un cantuccio, è la Madonna veglia sulla città. Se non ricordo male, essendoci una contrada in quel punto preciso, un crollo aveva interessato una parte della città e determinato la sua scomparsa. Per ricordo, era dunque stata edificata questa minuscola Cappelletta, che resiste tutt'ora alle intemperie, chissà per quanto ancora. Tornati sui nostri passi, dato che la strada dopo questo punto si trasforma in un sentiero che si perde tra le anfrattuosità dei calanchi e arbusti selvaggi, abbiamo raggiunto un altro lato della città, che si affaccia su Lubriano, e in cui si trova un'altra testimonianza della situazione precipitevole e instabile della città: qui si trovano infatti i resti di una casa il cui parziale crollo risaliva a non molti anni prima, ed era stato causato dall'erosione della parte di roccia sottostante. Una porta, ormai murata, si affaccia oggi sul terrazzamento che permette la vista della valle, e con essa anche alcune finestre.

Civita: la città che muore Il panorama da uno dei tanti punti di Belvedere della città: sopraelevata in mezzo al nulla, gode di una vista splendida.

Ogni anno, la circonferenza di Civita si restringe, e probabilmente l'abbandono della città diverrà un giorno inevitabile. Per questo, forse, le case in città sono in vendita e ad un prezzo molto basso. Girando tra quelle stradine, che non essendo calcate da macchine mantenevano la propria aura di tradizione, pensavo quanto fosse un peccato dovere, prima o poi, rinunciare ad un tesoro tanto prezioso e particolare, non potendo combattere contro una cosa tanto sottile, subdola, invincibile come è la goccia d'acqua che cade.

Il nostro giro è terminato di nuovo alla porta, da dove eravamo partiti. Prima di andarcene, abbiamo avuto comunque modo di notare che tutti, o quasi, i locali della città proponevano un tipo di cucina tradizionale e locale che, credo, è elemento molto attraente per chi visita un posto del genere, ma in generale qualsiasi luogo d'Italia: nel nostro paese, ogni regione, ogni zona, è affiancata a una ricetta tipica, e anche questa è un'eredità in bilico da conservare gelosamente. Contenti della nostra visita, siamo quindi tornati sui nostri passi, riscendendo lungo la rampa che porta alla civiltà contemporanea da quell'angolo di storia, di passato irrecuperabile ma così affascinante, che ci è sembrato Civita. Andateci un giorno (presto, però! ), e vi assicuro che non ve ne pentirete.

Di paesaggi del genere ne vedrete a bizzeffe sulla Via Francigena. Volete saperne di più? Date un'occhiata alla guida con le informazioni più complete sulla Via Francigena!


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