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The wheel - storia di un Erasmus a Cracovia

Pubblicato da flag-it Francesco Veronese — 5 anni fa

0 Tags: flag-pl Esperienze Erasmus Cracovia, Cracovia, Polonia


La ruota, schiacciata dall’ingente peso della valigia, rotolava a fatica sul marciapiede cosparso di sanpietrini incitata dalle mie imprecazioni. Ad un certo punto si bloccò definitivamente e completamente usurata e fuori asse si arrese. Tutto incominciò così.

Un vento freddo e una pioggia insistente sferzavano la pista di atterraggio dell’aeroporto internazionale di Cracovia. La gente si affollava e correva verso la navetta che portava all’unico terminal mentre io facevo finta di sapere perfettamente dove mi stavo dirigendo e quello che sarei andato a vivere nei successivi quattro mesi. In realtà non ne avevo la minima idea. Non sapevo nemmeno dove si andava a ritirare i bagagli.

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All’uscita dell’aeroporto trovai due connazionali che cercavano di raggiungere il centro della città provando a destreggiarsi con il nostro tipico – scusate la generalizzazione – inglese improvvisato, e una goccia di sudore stampata sulla fronte. “Where is it the centre? ” chiedeva uno mentre l’altro fumava aspettando che l’amico Fritz ottenesse una valida risposta.

Una volta saliti sull’autobus guardavo fuori dal finestrino cercando conferme, immagini e colori comuni, familiari; il mio sguardo e la mia mente non erano ancora aperti alla novità. Mentre vagavo con il pensiero venni interrotto da uno dei due connazionali :”Ehi, mi sa che è meglio che scendiamo prima. Il centro non dev’essere così lontano”. “Ringrazio” ancora quel tale che mi convinse a scendere dall’autobus. Grazie alla sua geniale trovata mi ritrovai con una ruota della valigia da 20 kg lacerata dai sanpietrini e completamente fuori asse.

Raggiunto il centro di Cracovia non mi accorsi nemmeno di aver costeggiato il Wawel, l’imponente castello reale di epoca medievale che sorge sulla riva del Wisla, e la Main Market Square, la piazza più grande d’Europa, tanto era l’affanno. In realtà avrei dovuto già essere a Nowy Sacz per prendere le chiavi di quella che sarebbe stata la mia camera per tutta la durata del corso di polacco.

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Entrando in un ufficio informazioni chiesi come raggiungere quella maledetta cittadina, che nessuno conosceva a causa anche della mia pronuncia. Fortuna volle che un italiano, probabilmente mosso più da compassione che da altro, decise che ero troppo disperato per essere appena arrivato in Polonia e volle darmi una mano, fornendomi un letto gonfiabile sul quale dormire, consigliandomi un locale tipico polacco e presentandomi amici con i quali avrai bevuto qualche birra e scherzato per tutta la serata. Come siamo accoglienti noi italiani non lo è nessuno. Gli spagnoli, forse.

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Il mattino seguente, non senza difficoltà, presi l’autobus per la mia vera destinazione e dopo qualche ora di colline spoglie e campagne incolte giunsi nella sconosciuta cittadina di Nowy Sacz, un paese di circa 80 mila persone situato a un’ora dalle montagne di Zakopane, nel sud della Polonia. La versione polacca di Rovigo praticamente.

Durante il viaggio mi tornavano alla mente alcune righe di un articolo sull’esperienza Erasmus “…una volta atterrato in Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, ti sentirai esattamente nel posto giusto al momento giusto, nel luogo in cui hai sempre desiderato di essere. ”. Beh, non provai niente di tutto questo, almeno in quelle prime ore, la mia unica preouccupazione era scendere alla fermata giusta e arrivare a destinazione.

Alla fine me lo dovevo anche aspettare, non avevano mica citato ‘Polonia’ nell’elenco.

La camera era spaziosa, pulita, anonima, come del resto sono tutte le stanze dei dormitori; due letti, bagno e cucina condivisi, niente wi-fi, ma dovevo considerarmi fortunato visto che mi trovavo in uno dei dormitori più belli di tutto il Paese. Ho sempre stampata nella mente l’immagine di quando entrai nel mio alloggio. Avrei dovuto dire “Oh, finalmente arrivato! ”, invece aprii la porta del bagno, mi guardai allo specchio e mi dissi “Cosa ci fai qua? Tornatene a casa. ” Non lo feci solo perchè era troppo difficile tornare all’aeroporto.

Toc! Toc!

“Vado io” dissi al mio coinquilino. Aprendo la porta mi ritrovai di fronte al viso sorridente e amichevole di quello che sarebbe stato uno dei futuri compagni di classe “Hi! I’m Lasser! If you want we have some beers in our flat. Enjoy with us”. Chi l’ha detto che i tedeschi sono freddi? Probabilmente si trattava di un’eccezione alla regola ma la semplicità con cui instaurammo legami in quel mese può essere racchiusa in quella semplice frase. Già la prima sera il gruppo aveva legato e scambiato nomi, che nessuno avrebbe imparato se non dopo qualche giorno, attorno a una cesta di birre che sembrava non avere fine. Ah, giusto per essere noiosi, le nostre attività durante il giorno erano delle lezioni ‘infinite’ di polacco in inglese e gruppi di dialogo interculturale al pomeriggio. Per quanto riguarda la sera, specie nel weekend, le nostre camere si trasformavano in discoteche o ristoranti a base di specialità tipiche di ogni Paese, per quanto si potesse cucinare con gli ingredienti che riuscivano a rimediare. Fortunatamente non si trattò solo di un corso di polacco ma fu alternato da un Forum di Economia of Young Leaders, nel quale ho conobbi più gente in 3 giorni che in 5 anni di vita, escursioni, rafting e arrampicata.

Al termine del corso non avevo solo superato alcune mie paure e migliorato la lingua ma avevo stabilito dei legami, me l’ero saputa cavare nei momenti di difficoltà e avevo passato con successo il primo esame. Non male!

La stazione degli autobus a Cracovia assomigliava a un piccolo terminal aeroportuale, tabelloni con gli orari di arrivo e di partenza costantemente aggiornati, affollati sportelli per il pagamento dei biglietti, bar e baldacchini che vendevano ‘Bajgle’, un tipico pane a forma di ciambella con semi di papavero e sesamo.

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Cercavo di tener compagnia a Tiago e Diogo, i miei due amici portoghesi diretti a Lodz dove avrebbero proseguito il loro Erasmus. Il clima era davvero strano, cercavamo di intrattenere discorsi ma in fondo eravamo coscienti che da quel momento in poi le strade del nostro gruppo si sarebbero separate, forse per sempre. Le immagini del mese appena trascorso scorrevano velocemente tra i nostri pensieri fino a giungere ai titoli di coda e, un po’ come al cinema, si buttava via il pacchetto di pop corn finito, si usciva dalla sala e ci si preprava per affrontare la dura realtà.

Da lì iniziava l’Erasmus vero e proprio. Niente più attività organizzate, niente più lezioni di polacco. Ora qualsiasi iniziativa o evento era a tua discrezione. Completamente libero di scegliere che corsi seguire, che persone frequentare, quali hobby o interessi avresti portato avanti. Da una parte un’affascinante e sconfinata libertà dall’altra qualche preoccupazione per quella che sarebbe stata la vita di tutti i giorni fatta anche di scadenze, burocrazia, adattamento, farsi da mangiare ecc…

Voglio lasciare aperta questa parentesi perchè la mia esperienza non è ancora conclusa e chi lo sa, magari l’ultimo mese sarà il più bello di tutto l’Erasmus.

In vita mia non mi sono mai trovato così stimolato ad abbracciare la novità, a parlare in un’altra lingua, a relazionarmi mettendo da parte certe paure e andando oltre lo stress che invevitabilmente si crea quando ti metti in relazione con persone completamente diverse da te.

Impossibile riassumere tutti i momenti di questi primi 4 mesi, sono infatti troppe le sensazioni e le esperienze di gioia e di delusione a volte, di entusiasmo, di fatica, di relazioni, ma c’è un episodio che forse racchiude e sintetizza bene quanto vissuto;

“Genres of Journalism” è uno dei corsi che sto seguendo, ed è seguito da un simpatico giornalista abbastanza famoso di Cracovia, Gurba. Le sue lezioni da una parte mi affascinano e mi stimolano, dall’altra creano anche un po’ di tensione perchè sono imprevedibili e a volte richiedono di mettersi in gioco fino in fondo. Al termine di una spiegazione Gurba s’illumina d’improvviso e ci propone di andare in giro per strada muniti di microfono e videocamera intervistando le persone su una tematica a nostro piacimento. La proposta mi spiazzò, un po’ per la preoccupazione di intervistare le persone in inglese, un pò perchè volevo proporre una domanda interessante, che le invitasse a fermarsi, a sorridere, e che – ovviamente – venisse anche apprezzata dal mio professore. Con grande sorpresa tutti quelli che intervistai si fermarono subito senza doverli pregare e con grande entusiasmo risposero a questa semplice domanda: “What was your best moment of the year? ”. Mi porto a casa quei volti di coloro che si sono fermati, in particolare si ringraziano le due simpatiche ragazze bielorusse, la soddisfazione ricevuta da Gurba, le risate con i miei compagni di corso e la sensazione di pienzza e felicità nelle vene mentre tornavo a casa. Semplicemente Vita.

Se mi avessero chiesto “Qual’è stato il tuo momento più bello dell’anno? ”? “Questo! ”.


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