Ultimo giorno-ritorno dal Trentino

Pubblicato da flag-it CHIARA GARBAGNATI — 6 anni fa

Blog: House of memories
Tags: Generale

Siamo purtroppo giunti alle battute finali di questo meraviglioso viaggio, e il quinto e ultimo giorno è il più triste, guardandolo da più prospettive differenti. Lasciare questo posto a dir poco idilliaco, in mezzo alle montagne e la vegetazione rigogliosa, l’aria pulita, e via discorrendo, mi infonde un profondo senso di tristezza e disorientamento. 

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Oltre a ciò salutare le abbondanti e deliziose colazioni e il personale dell’albergo mi infonde un profondo senso di tristezza, che spero di riparare durante il giorno facendo qualcosa che mi rilassa più di ogni altra cosa, ovvero scoprire posti nuovi. Inizialmente voglio di nuovo rimettermi gli scarponcini da trekking e andare a fare un’escursione in montagna, ma cerco di essere più ragionevole e opto per qualcosa di diverso. La meta stabilita è Riva del Garda, sul confine con la regione Lombardia e si trova a un’ora abbondante di distanza. L’illusione del lago, in tutta la sua maestà, l’idea di poter pranzare nelle vicinanze in qualche scorcio particolare, sembra concretizzarsi sempre di più arrivando finalmente a destinazione, manca forse il contorno della sagoma per realizzare il tutto, fino a quando non c’è verso di trovare posteggio da nessuna parte. Benché sia una località più che rinomata e quindi attrezzata ad ospitare tante persone e di conseguenza anche coloro che sono di passaggio a bordo di una macchina, il pienone in questo periodo dell’anno risulta un problema. Varie schermate poste nella cittadina segnalanti i posti liberi non combaciano con la realtà, perciò tentare il paesino dopo non è un’opzione, ma malauguratamente, a Limone sul Garda si presenta la stessa situazione. Da questi articoli si deduce che io sia un pozzo senza fondo, molto probabilmente è così, perciò lo stomaco è la mia bussola, il mio spirito guida, ma per ciò che vi sto per preannunciare è cieco. Poco dopo questa località, sorge Gargnano, sotto la provincia di Brescia, e attorno a questa una miriade sconfinata di frazioni. Premetto che una volta che si diventa un tutt'uno con la strada, si finisce per ascoltarla e assieme ad essa i cartelli che si incontrano durante il tragitto, alla faccia dei siti di recensioni e simili.

Quando si incomincia ad intravedere a distanza, non breve, sia chiaro, il cartello di una data locanda o di un ristorante, non sempre può costituire una buona idea. Se da un lato il web è costellato di false notizie circa un qualunque avvenimento nel mondo, d’altro canto le opinioni su ristoranti e alberghi sono le più sincere, salvo alcuni casi eccezionali. Ad ogni modo avete presente quella sensazione che si prova a guardare impauriti il menù e andate ad esclusione nella selezione di una portata? Perché io si, e non la augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Se siete fan del programma “Cucine Da Incubo”, è come esserci dentro letteralmente parlando, dato che i sintomi che si deducono prima della portata sono gli stessi. Il posto offre una vista mozzafiato e potrebbe lucrare solo con questo fattore, ma per il resto si ride per non piangere. Non voglio essere offensiva, sia chiaro, sto solo romanzando la mia percezione riportando fatti oggettivi. 

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Chiusa questa parentesi, torniamo con il nostro racconto horror, immaginatemi scrivere con un lenzuolo in testa, al buio e con l’illuminazione dello schermo del computer, che rendo forse di più l’atmosfera. Questo scenario è ambientato presso la Trattoria Ca’Vecia, circondata da una delle perle più belle del panorama italiano, con delle accoglienti statue neoclassiche, ma con dei dettagli raccapriccianti. Capisco essere una trattoria e avere un parametro di guadagno nettamente inferiore a un ristorante stellato, ma spendere un euro in più per un bidone esterno e non usare quelli da bar dell’oratorio o da spiaggia, fa più bella figura, non si pretende mica il feng shui. Fuori e dentro solo l’ombra della cameriera, letteralmente nessuno si è azzardato a mettere piede. La povera donna in questione mi ha trasmesso una profonda tristezza esistenziale, da un lato avrei voluto anche abbracciarla, ma dall’altro chiedere il perchè di tutto ciò. Considerando il freddo esterno, il pranzo lo consumo all’interno, caratterizzato da un arredamento vecchio e trasandato, oltre da un odore sulla stessa lunghezza d'onda. 

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Altro sintomo preponderante è quella tendenza che io chiamo “esposizione dei cimeli di guerra”. Questo luogo vanta della forchetta d’oro del 1984, ma ahimè, in 33 anni ne passa di acqua sotto i ponti, e soprattutto se ne formano di ragnatele, come quelle che si possono vedere sul soffitto e negli angoli senza troppo sforzare la vista. Al macabro non c’è mai fine, basta rievocare l’oliera sul tavolo, unta all’esterno e la sua collega porta aceto altrettanto, con tanto di particelle indefinite all’interno della bottiglia che galleggiano. Alla fiera delle sentenze, non può mancare il menù. Avete presente un qualunque logo in un formato .jpg 200x300? Ingranditelo con lo zoom di paint e sbattetelo sulla copertina della carta dei piatti, con più pixel che parole leggibili. Ad ogni modo i prezzi sono bassi, considerando la tipologia delle portate. Audace è la scelta delle pennette alla vodka, con quel risvolto nostalgico anni settanta, forse l’intenzione era dare un tocco vintage all’atmosfera, ma non voglio rischiare e giocarmi la mia salute. Altra chicca che non posso non citare è la lista degli allergeni dove compare il condimento della pasta alla carbonara a base di panna. Siamo in Italia, perdindirindina. Perdono chi è straniero e non ha una giusta concezione della ricetta, ma non dimentico, però qui si è oltrepassato il limite della decenza che vige nella cucina italiana. Per andare sul sicuro mi affido alla semplicità di un piatto di pastasciutta aglio olio e peperoncino, ma talvolta anche le precauzioni non sono abbastanza. Un cumulo di spaghetti galleggianti nell’olio e tappezzati da una manciata fin troppo abbondante di prezzemolo. Alla fine della fiera, l’acqua naturale ordinata era l’unica cosa buona, e meno male che sia finita. Perciò ho deciso di risparmiarvi la foto del piatto, visto che non sono così crudele e povera di spirito. L’unica cosa che ho ottenuto è un pesante alito d’aglio. Questo strazio dura un’oretta circa, ma come dice mia zia, tutto nella vita è un’esperienza, pertanto chiudo qua la mia vacanza in Trentino, assicurandovi che dopo il caffè dell’autogrill, bibite e lavate di denti, l’odore disgustoso non c’è più, a differenza di un eventuale ritorno, che invece ci sarà.

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