E pensare che non volevo partire!

Pubblicato da flag-it Roberta Occidente Lupo — 6 anni fa

Blog: Mon - Bon Voyage
Tags: Generale

Quando uscì il bando "Erasmus for Studies", mia sorella, da poco reduce dalla sua esperienza britannica, e mia madre, da sempre ossessionata per le lingue, mi spingevano a farvi domanda. La loro insistenza era quasi fastidiosa. Non volevo saperne! Io, in un altro paese, sola e senza capirci nulla: al solo pensiero mi si contorceva lo stomaco. “E se mi succede qualcosa che faccio? A chi lo dico, ma soprattutto come lo dico? No, non è il caso!” - Che fifona!

Qualcosa, però, mi fece cambiare idea, così, all’improvviso. Forse le continue pressioni, l’idea di andar via e cambiare aria o mia sorella che mi rassicurava su tutto ed io mi fido di lei…se no a cosa servono le sorelle maggiori?! Così mi convinsi, feci domanda e partii. Ero certa di voler andare in Francia: su questo non avevo dubbi, ma paurosa com’ero scelsi una meta di pochi mesi, sei per l’appunto, che già mi sembravano infiniti (poi chiesi il prolungamento).

Fu il mio amico Emanuele a rassicurarmi che l’Università di Aix-Marseille sarebbe stata la meta ideale. “È una città viva, il tempo è bello, c’è il mare, c’è il sole e tantissimi studenti.” Aveva ragione su tutto!

 Atterrai i primi di settembre, quando arrivano tutti e nessuno sa bene come funziona, nessuno parla o capisce un’acca della lingua, ma basta l’entusiasmo di uno a contagiare gli altri ad effetto domino. Il bello è proprio che tutti partono con l’idea di poter fare tutto “tanto chi la vede più questa gente”, un po’ come gli dèi dall’Olimpo, quando scendevano sulla terra e si vantavano di poter fare qualsiasi cosa, perché tanto loro erano dèi; ecco, analogamente alle divinità, gli erasmus, soprattutto ai primi giorni, hanno questa smania di sentirsi onnipotenti: energici, attivi, danno il meglio di sé per fare amicizia, per divertirsi, per rimorchiare, per viaggiare, mi verrebbe da dire un po’ meno per studiare, ma poi ogni giorno te li ritrovavi tutti in biblioteca.

Una delle prime sere ci incontrammo tutti al parco, anche se nessuno conosceva nessuno, o forse uno conosceva due o tre. Iniziammo a fare un gioco di memoria con le parole francesi – le poche che potevamo utilizzare perché le uniche che conoscevamo, quelle dello slang. Ovviamente le prime che si imparano in terra straniera, per chi non lo sapesse, sono quelle che poi non utilizzeresti mai all’università, nei negozi o sull’autobus - a meno che al supermercato non ti rivolga al personale esclamando “Hey tu, mi servirebbero dei preservativi, che stasera esco con una gnocca” - dunque le più inutili, ma per sentirti addentro alla civiltà che ti accoglie le devi sapere, giusto per sentirti più figo. Così ho conosciuto quelli che poi sono diventati i miei primi amici ad Aix-en-Provence. Forse non c’è niente di romantico nel conoscersi tra una parolaccia e l’altra, ma nulla di più prezioso nel sentirsi ancora dopo anni, rivedersi quando ti trovi in giro a viaggiare sapendo che proprio in quell’angolo di mondo, in quell’esatto momento c’è qualcuno che potresti riabbracciare. È così che ho rivisto molti di loro. C’è qualcosa di puro nelle amicizie oltremare e transnazionali, di profondo; sono quelle amicizie strane in cui all’inizio non ci scommetteresti un euro che possano durare, e invece si rivelano vere e durature. Tra una pasta stracotta e una confidenza – circa 25 minuti per raccontare qualcosa di più complesso, un avvenimento che se detto nella propria lingua impiegheresti 5 minuti – correzioni grammaticali e scatti di nostalgia, inizi a raccogliere gli ingredienti utili per la ricetta dell'amicizia.

Quando il tempo senza sentirsi o vedersi passa così velocemente, ma ti rendi conto che è come se non fosse cambiato niente, se non qualche capello bianco fuoriposto,  e ci si ritrova a ridere insieme, piangere o raccontarsi, capisci di aver guadagnato qualcosa di bello nella tua vita. Sono passati sei anni da questa esperienza, e ho avuto l’onore ed il piacere di essere invitata a due matrimoni di amiche conosciute proprio ad Aix-en-Provence, condividendo con loro la gioia magica di quel giorno importante.

A volte ci sono momenti della vita, così ricchi di sensazioni che è quasi impossibile poterle raccontare, perché non sono episodi singoli che ti formano o ti cambiano, ma il susseguirsi di eventi nel corso del tempo che ti maturano. L’essere stati soli, senza nessuno, in un paese di cui non si conosce nulla e partire da zero, cercando di farsi una vita: è questa l’emozione! Nove mesi non sono molti, ma abbastanza da non aver reso il mio soggiorno solo un lungo viaggio, ma proprio un vivere,  anche se temporaneo, in un luogo in cui mi sono dovuta abituare daccapo, costruendo le mie giornate, con il supermercato di fiducia, il bar preferito, la vita universitaria, la palestra e gli amici. Quei nove mesi non sono una parentesi della mia vita, ma sono quelli che mi hanno segnata e hanno contribuito ad essere quella che sono oggi: una cittadina dell’UE.

Ho amato la tortilla de patatas e le quiches, ho rispettato chi non mangiava la carne, ho visto pregare in un’altra religione e ho fatto domande per capire abitudini diverse dalle mie. Ho esplorato la città e i suoi contorni, ascoltato confidenze e fatte altrettante, ho parlato, scritto, scherzato, visto film, ho dato consigli e ne ho ricevuti, ho asciugato lacrime e ne ho versate, il tutto in un’altra lingua. E non c’è giorno che io non ringrazi di essere partita, ma anche di essere tornata per mettere in pratica tutto ciò che ho imparato e poterlo condividere di nuovo. Tolleranza e condivisione sono le parole che al meglio potrebbero descrivere questo percorso: il viaggio della mia vita, quello che poi ha dato avvio a molti altri viaggi ed esperienze.

Arrivato il giorno di lasciare Aix piansi tanto, così tanto che chi mi vide si sarà chiesto quale disgrazia mi fosse capitata, e invece stavo solo tornando a casa.

E pensare che non volevo partire!


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