Vilnius è una città trasparente. Tace, ma c’è.
Il mio primo aereo l’ho preso a vent’anni. No, prima non ho mai fatto un viaggio lungo. Perché ?
Il perché non lo so, sono sempre stata incuriosita dal mondo, da questo mega globo tutto da scoprire, ma non ho mai trovato l’occasione, e forse anche il coraggio, di salire ad alta quota ed andare. Per caso, mi iscrivo a un Youth Exchange organizzato in Lituania e aspetto, attendo notizie che arrivano circa un mese dopo, tanto che me ne ero quasi completamente dimenticata. Non la solita mail di risposta dove ti dicono le frasi di rito come quelle di un colloquio “Grazie le faremo sapere” o “Scusi, ritenti la prossima volta”; quelle frasi che si trovano negli snack quando mettono in palio la Cinquecento o un tapis roulant. Quella volta è stato diverso: nella mail mi veniva comunicato che tre settimane dopo, se avessi voluto, avrei potuto prendere il volo per Vilnius. Stupita, stupefatta, senza parole avverto subito la mia mamma, la persona a cui comunico sempre per prima i miei traguardi e lei, un po’ emozionata e un po’ già preoccupata di lasciarmi spiccare il volo, nonostante io non sia più un piccolo a cui fornire il cibo, mi risponde convinta che questa sarebbe stata una buonissima occasione per me, aggiungendo, in conclusione, anche un “carpe diem, Claudia”. La valigia da venti kilogrammi, il bagaglio a mano, i capi pesanti, meteo sottocontrollo. Previsione: diventare un fiocco di neve, un’espressione meteorologica che io amo tanto, perché io mi sono sempre sentita un fiocco di neve, gelido, ma una volta sfiorato, si scioglie.
Il decollo, il tempo che non passa, il cappuccino di Ryanair che, ammettiamolo, non è altro che acqua sporca, e i passeggeri accanto da me che giocano con dei rompicapo sul loro iPhone. L’atterraggio è istantaneo, esci dalle nuvole e tac, tocchi la terra con i piedi. Il mio primo volo in una parola: musica. Musica per le mie orecchie, musica nelle orecchie. Compagna fidata numero uno.
Vilnius si presenta come una città trasparente, tace, ma c’è. L’aeroporto assomiglia a una comune stazione dei treni, poche persone, tutte indaffarate a cercare il loro destino. Poi ci sono io, ora non sono sola, ho trovato i miei compagni: sono Francesca, Matteo e Francesco; all’appello ne manca uno, lo troveremo strada facendo. Bisogna aspettare le 17.40 per andare in hotel, perciò, decidiamo di ingannare il tempo con un giretto. Intraprendenti ci dirigiamo verso il centro storico, senza preoccuparci della pioggia. Chiese e cattedrali gotiche si mostrano in primo piano, si scorge qualche negozio, ma la città è vuota, deserta, muta. Ci guardiamo intorno, cerchiamo un locale di piatti tipici, ma il primo ristorante ha sull’insegna “Bella Napoli”, decidiamo di proseguire e di rinunciare alla nostra amata pizza per aprirci a nuove culture. La giornata prosegue con quattro anatre fradicie passeggianti, fino al tardo pomeriggio, quando incontriamo i nostri compagni di scambio e recuperiamo anche il quinto dell’”Italian team”, si chiama Fabio e dalla prima parola che spiaccica penso subito che sia un romano patriottico.
La location è magica, tutto il percorso dalla stazione all’albergo è stato come giocare a mosca cieca, niente lampioni e niente fabbriche fumanti, solo alberi e buio. Iniziano così i dieci giorni al Riterio Krantas, una lussuosa struttura immersa nel verde.
Ci si guarda, ci si sorride, timidi, con la voglia di conoscersi. La prima con cui parlo è Inês, la mia roommate portoghese: disponibile, sorridente, affettuosa da subito.
È il primo Youth Exchange a cui partecipo, la timidezza è alle stelle, sto lì, osservo, parlo ma solo quando siamo in piccoli gruppi, sarà che il mio English non è il top, ma io di sentirmi avvampare davanti a quaranta persone per la vergogna non ne ho proprio voglia. Mi piace, il topic mi interessa, d’altronde la propria indole non la si abbandona mai facilmente, ora studio Lettere, ma i primi passi li ho mossi nelle scienze umane e “Inter VS Intra” calza a pennello. Scopro passioni, mangio patate a pranzo e a cena, mi vesto come un’eschimese e sono io, semplice e naturale, il mood che mi rappresenta al meglio. Mi lascio andare dopo la giornata passata a Trakai e a Kaunas, scambio quattro chiacchiere con tante persone, ci sediamo a bere qualcosa di caldo, camminiamo, camminiamo per non congelarci e poi c’è uno spiraglio di sole a incorniciare il tutto, ma il freddo è incalzante comunque. Mi lascio andare, non mi faccio problemi a tuffarmi in piscina, ballo con la musica al massimo e inizio a sorridere, uno dei gesti che preferisco. Mi chiedono di mostrare loro qualche salto che ho imparato bene nella carriera da ginnasta e, anche se all’inizio tentenno, poi mi faccio trascinare dalla mia passione e inizio a fare il mio esercizio del corpo libero.
Continuiamo a lavorare, a sperimentare, a essere gruppo. È ciò che conta.
Il tempo passa, non lo si ferma, lo diceva Orazio di cogliere l’attimo, lo diceva Orazio che il tempo è fugace. Sembra di essere appena arrivati, ma bisogna già rifare la mega valigia, riporre dentro altro, includere i ricordi, qualche post it con dediche, gli immancabili shampoo e bagnoschiuma rubati all’hotel.
Non lascio sfuggire nulla, tengo tutto, lo annoto sul mio quaderno di Legami, quello che Emma mi ha regalato per il compleanno, quello su cui annoto le note importanti.
E così sono sull’aereo di ritorno che sto scrivendo, fuori è un tutto un wow, quando abbiamo decollato ho visto tramonto favoloso, ora c’è tutto buio, però. Lo speaker annuncia che stiamo per atterrare, devo fare stop sul mio iPod, chiudere il quaderno e sollevare la mia borsa piena di souvenir.
Da questa prima esperienza capisco che viaggiare mi piace. Mi piace proprio tanto e non so se è perché ho l’età giusta o se è perché io sono una persona predisposta a introiettare tutto ciò che mi sta intorno, ma un grazie gigante lo devo sicuramente a questa prima esperienza che mi ha aperto verso un mondo che non avevo ancora esplorato.
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