Viaggiare mi ha sempre permesso di riscoprire la mia terra e vederla con occhi nuovi. La magia di Montmartre, i colori del Parc Guell, la rustica bellezza della Provenza, nulla hanno a che fare col folklore emanato dalle piazze della Vucciria. Un tempo era un florido mercato ma, adesso, è diventata il movimentato centro del fervore notturno di una Palermo dalle straordinarie potenzialità.
Le parole non riescono a spiegare la pura frenesia di colori, parole, musiche e profumi di questo luogo, che solo un’attenta maestria nell’uso della pittura può ritrarre senza restare in debito con la bellezza di queste atmosfere.
La Vucciria è sempre stata il termine di confronto per comprendere lo stato di una città complicata come Palermo. È lei il vero cuore pulsante del capoluogo.
La Palermo raccontata nelle tele di Guttuso è la città degli antichi mercati caotici dal gusto arabo, una città dove la tradizione si mischia col quotidiano dando origine a una cultura unica al mondo.
In questa tela, invece, ci viene raccontata la Vucciria della nostra epoca. La Vucciria posseduta dallo spirito dionisiaco del caos, luogo d’incontro della degradata cultura capitalistica con la passione che brucia nei cuori dei siciliani; il tutto mescolato con un sincretismo di culture che, al mondo, non ha concorrenza.
Camminando per quelle strade scivolose e luccicanti, dà alla testa l’euforica calca di voci e odori, colori e persone di ogni estrazione sociale.
Pericolosa e pericolante, la Vucciria pulsa rumorosamente di vita nei suoi vicoli, nelle sue piazze piazze, nei chiassosi bar.
La bellezza di questa Vucciria sta nel suo brulicare continuo che trascina chi vi si trova in mezzo, trasportato dalla fiumana di gente che popola ogni notte i suoi locali.
La Vucciria è, insieme, emblema del male che affligge questa terra e piazza del popolo che desidera lottare contro i mali della Sicilia. Proprio come l’agorà dell’antica Grecia, la Vucciria è un ardente focolaio di idee, la più frenetica oasi del pensiero libero e indipendente.
La Vucciria è il luogo dell’anarchia del pensiero e delle parole, ma assoggettata all’intangibile egemonia del malcostume sociale.
Sotto una luna raggiante risplende il calore della gente che qui, a Palermo, accende le strade e le colora coi toni più eccentrici della commedia italiana. C’è la donna anziana dallo sguardo severo e l’uomo di mezza età che non vuole invecchiare, il fannullone dallo sguardo allegro e il figlio di papà alla moda che possiede solo uno sguardo spento.
Le donne sono splendidamente decorate di trucco e vestiti risplendenti di colore, il loro sguardo è sempre rivolto all’osservatore, tradendo il pudico narcisismo della donna sicula.
C’è chi s’intende di arte e chi ama le droghe, chi è restato agli anni settanta e chi prova un look alternativo.
Sono tutti intenti a fare qualcosa, ad ascoltare o a parlare con qualcuno, ma nessuno pare realmente interessato. Nel confuso groviglio di sguardi e nel frastuono dello sciame di voci si delinea la vera natura di questa terra, magnificamente descritta dal termine greco αγοραζειν (agorazein). Questa parola racchiude tutto il fascino della piazza come luogo di incontro, come luogo in cui gironzolare in attesa che succeda qualcosa o che si incontri qualcuno con cui parlare del più e del meno.
Non è assolutamente la Vucciria di Guttuso, ma è una nuova e sempre straordinaria Vucciria, di cui dobbiamo aver cura.